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Editoriali

La politica che non cambia: come il passato è presente

Due scrittori, entrambi siciliani: Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Leonardo Sciascia; un unico comune denominatore: la lucidità nell’interpretare storie e momenti di vita che tutt’oggi hanno una strana attualità.
Partiamo da Tomasi di Lampedusa e dall’opera forse più celebre, “Il Gattopardo“, che nella sua splendida narrazione rievoca quel “gattopardesco” spirito siciliano insito nel più noto aforisma, che rappresenta il nucleo centrale e l’essenza di quello che accade in una delle terre più strane e di pirandelliana memoria, Agrigento: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.

Ora facciamo un passo avanti e leggiamo ciò che Leonardo Sciascia scrisse nel 1956 ne “Le parrocchie di Regalpetra” dove vengono descritte le manovre politiche, le campagne elettorali di missini, comunisti, democristiani e liberali, in un contesto sociale dove vengono messe in risalto le condizioni in cui versavano le classi povere del paese: la scarsa paga vale a malapena per il sostentamento ed il pericolo di morte sul lavoro è alto per i lavoratori, soprattutto salinari e zolfatari, i protagonisti dell’opera.

Significativa è la parte dell’opera in cui Sciascia descrive la scena che racchiude il modus operandi della politica di allora: “…Una volta al circolo dei minatori venne un deputato nazionale, ascoltò i salinari, raccontavano miseria e l’onorevole chiudeva gli occhi come in preda a indicibile sofferenza, infine diede un calcio al tavolo dicendo che perdio, bisognava fare qualcosa; dal tavolo cadde una lampada e andò a pezzi, l’onorevole promise grandi cose, ai minatori toccò comprare una lampada nuova…“.

Due opere che racchiudono due passaggi fondamentali di come ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, purtroppo gli slogan elettorali dei politici, o politicanti, di turno permeano le menti dei cittadini speranzosi in un cambiamento fin troppo atteso. “Il nostro obiettivo è rispondere alle esigenze dei cittadini“, “Meno tasse per tutti“, “Più sicurezza per i cittadini“, “Più lavoro per i giovani“, solo alcuni degli esempi più lampanti di come la classe politica odierna si impegna al “nulla”. Un “politichese” che seppur nei tempi è cambiato, resta sempre privo di un contenuto che non si tramuta in fatti e azioni.

Se come disse Ezra Pound “l’unica cultura che riconosco è quella delle idee che diventano azioni“, allora la naturale domanda che ne viene fuori è: la politica può essere considerata cultura?
Il politichese, inteso come neologismo per indicare il modo di comunicare dei politici, è evoluto dai tempi di Tomasi di Lampedusa e Sciascia, ma ha lasciato una triste realtà: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi“. A voi sembra che negli ultimi cinquant’anni di storia sia cambiato qualcosa?

Francescochristian Schembri

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