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Italia

Povertà e speranza: come si ingannano i poveri

aldo mucciLa povertà e la speranza sono madre e figlia. Intanto che ci s’intrattiene con la figlia, ci si dimentica la madre.

Con la nuova misura di contrasto alla povertà, il Reddito di Inclusione (REI), si avvia la campagna elettorale del PD, in contrapposizione al Reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del M5S. Si riavvia la narrazione di un Governo intento a porre freni alle inarrestabili disuguaglianze sociali e materiali che affliggono i destini di gran parte della società italiana.

Ben lontana dalla sola ipotesi di rimuovere le condizioni che determinano l’avanzare di un fenomeno che è strutturale ( 7,9% gli individui in povertà assoluta e 14% quelli in povertà relativa), e correlato alle devastanti politiche del lavoro e a quelle economiche, alle liberalizzazioni e defiscalizzazioni, nonché alla dissoluzione del welfare pubblico, la misura “concede” un irrisorio (max 485,411 euro ad una famiglia di 5 persone) e temporaneo sussidio (18 mesi) ad una sola parte di coloro (circa un terzo) che costituiscono lo zoccolo duro della povertà assoluta. Posta l’odiosa competizione che si attiverà tra le persone che versano in grave deprivazione materiale per poter accedere a quell’elemosina, nulla dell’architettura del REI ha a che vedere con quella garanzia di reddito capace di salvaguardare i diritti universali della persona umana. Si tratta di tutt’altro.

Imbarazzanti le risorse economiche messe sul piatto: 1,7 miliardi di euro nel 2018, fino ad arrivare a 2 miliardi di euro nel 2019. Cifre ben distanti dai 10 miliardi di euro investiti sul bonus degli 80 euro e, ancor più, dai circa 17 miliardi concessi alle imprese per il solo 2018 sotto forma di incentivi alle assunzioni e super ammortamenti, e che svelano l’inganno e la scelta governativa di non contrastare affatto quella povertà sempre più intrisa di precarietà lavorativa, di bassi salari e di lavoro che non c’è. Non solo.

Lontana da qualunque forma di universalismo, la misura restituisce una visione neoliberista della condizione di povertà quale esito di scelte individuali, di incapacità della persona di saper competere in questo mercato del lavoro. Su questa colpa, mutuata dal dispositivo delle politiche attive del lavoro rivolto ai disoccupati (che è già fallito), la misura legittima una serie di obblighi cui è tenuto il beneficiario per non veder revocato quel piccolo sussidio (progetto personalizzato di inclusione sociale). Questa volta, la presa in carico sarà a cura dei servizi sociali che, ridotti ormai al collasso finale, non potranno che esternalizzare tali servizi a quel terzo settore (il 15% delle risorse sono destinate a questi servizi) ben rappresentato nel cartello Alleanza Contro la Povertà. Ma non basta.

Dimenticando non casualmente il riconoscimento di un diritto soggettivo al reddito di base e dunque, all’autodeterminazione e alla libertà di scelta, come più volte da noi sostenuto insieme ad altri soggetti collettivi, ivi compreso il Movimento femminista Non una di meno, il beneficiario viene individuato nella famiglia e sarà il capofamiglia a ricevere il sussidio economico ponderato sul numero dei componenti: la prova dei mezzi è infatti costituita dall’ISEE familiare.

Insomma, nulla di nuovo all’orizzonte poiché senza lavoro buono, senza reali interventi redistributivi della ricchezza, senza un riconoscimento soggettivo del diritto all’autodeterminazione e senza un robusto welfare pubblico, siamo nei fatti tutti precari, tutti a rischio di scivolare in quel buco nero che chiamiamo povertà ed esclusione sociale. Una ragione in più per agitare il nostro dissenso in quest’autunno caldo oramai alle porte.

Aldo Mucci

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