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Silvio Orlando e la magia del teatro di Eduardo e Pirandello – INTERVISTA

lascuola1La Napoli di Eduardo De Filippo e la Agrigento di Luigi Pirandello, secondo Silvio Orlando.

Due degli esponenti più importanti del teatro italiano del ’900, fotografati dal noto attore partenopeo (domani e domenica in scena al Teatro Pirandello di Agrigento con “La Scuola”), sullo sfondo delle loro realtà esistenziali: da un lato la Napoli del secolo scorso rappresentata dal Kursaal, il cineteatro che ha visto il debutto di Eduardo, dall’altro la Sicilia a cavallo tra i due secoli raccontata dallo scrittore e drammaturgo agrigentino.

Due grandi artisti a confronto dunque; quando si conoscono nel 1935, Pirandello aveva già ricevuto il Nobel per la Letteratura, mentre per il giovane Eduardo, dopo il successo al Kursaal, iniziava una nuova stagione artistica. Insieme scrivono la commedia “L’abito nuovo” che andò in scena per la prima volta nel 1937 al teatro Manzoni di Milano.

“L’abito nuovo”, ispirato all’omonima novella di Pirandello, venne ritenuto da Eduardo adatto ad una trasposizione teatrale. In quest’intervista Silvio Orlando traccia un profilo dei due grandi autori, della Napoli del Kursaal, ma anche della Sicilia dal sapore sciasciano.

– Parliamo della premiata “ditta”Pirandello e De Filippo, un connubio fertile?
L’abito nuovo, non è il loro testo più riuscito(sorride al telefono). Pirandello ha rappresentato la cultura ufficiale mentre Eduardo la cultura popolare. Pirandello era una persona intelligente ed ha saputo riconoscere il talento di Eduardo. C’è stata, infatti, questa fusione magica che è servita molto ad Eduardo; lo ha legittimato in certi ambienti culturali. È interessante osservare la dicotomia di due geni che si scrutano e si annusano. Eduardo era più giovane ed ha assorbito la lezione del grande drammaturgo agrigentino che gli ha permesso di fare un salto di qualità nel suo repertorio”.

– Cos’è rimasto a Napoli del Kursaal di Eduardo?
Il Kursaal sono stati i primi esprimenti dei De Filippo. Era un teatro rozzo e viscerale, ma vitalissimo. Il grande merito di Eduardo è stato quello di aver fatto tesoro di quella esperienza giovanile, trasformandola, poi, in un pensiero altissimo. Oggi c’è un ritorno a quel genere di tetro, ma manca un pensiero alto. Ma Napoli è una terra in cui il teatro è un’ esigenza del popolo, può attraversare vari fasi, ma poi escono fuori elementi sorprendenti”.

– Qual’è l’eredita che ha lasciato Eduardo ai napoletani?
Eduardo è nel DNA di ogni napoletano, lui ha saputo rappresentare i napoletani per quello che siamo. Per gli attori della mia generazione, il teatro di De Filippo è stato un lascito molto pesante da sopportare, un percorso non cosciente da seguire.
Sentivamo che non esistevano, artisticamente, altri modi di rappresentare la realtà in presa diretta, in un teatro così realistico, quasi giornalistico. Abbiamo, così, cercato di allontanarci da quel genere di teatro per scrollarci di dosso quel peso sulle spalle e cercare un nostro percorso più attinente al mondo che cambiava. Alla fine, però, abbiamo capito che il segreto di Eduardo era da ricercarsi nella magia del suo stare in scena portando sul palcoscenico tutta la propria drammaturgia ed il proprio vissuto”.

– Lei ha lavorato molto in Sicilia. Ha anche vestito i panni dell’Abate Vella ne “Il consiglio d’Egitto”. Per dirla con Leonardo Sciascia: quest’Isola è veramente “irredimibile”?
Il pensiero di Sciascia lo possiamo estendere al Sud in generale (annuisce). Noi meridionali, infatti, riteniamo di avere una saggezza antica ed abbiamo la sensazione di conoscere tutto. Per questo, forse, non impariamo nulla. Ma il siciliano, a differenza degli altri, è un popolo capace di esprimere grandi sentimenti. In Sicilia c’è la mafia, ma ci sono stati anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La Sicilia è una terra tragica che, però, esprime il meglio della nostra nazione”.

Luigi Mula