Aragona ospita 4 artisti internazionali: nasce School of Life – Residenza Artistica

È stata inaugurata, alla presenza del Presidente del Libero Consorzio e sindaco di Aragona, Giuseppe Pendolino, la School of Life – Residenza Artistica – – Scuola Do Giocatu, in Via Andrea Costa 27, ad Aragona. Italia School of Life è un progetto curato da Andrea Mineo per attivare la palestra di una scuola abbandonata e trasformarla in uno spazio di scambio, apprendimento e immaginazione. L’obiettivo a lungo termine è ottenere risorse per la parziale ristrutturazione della palestra e restituire questo bene pubblico alla comunità di Aragona. L’obiettivo a breve termine è organizzare un programma di residenza che riunisca professionisti provenienti da diversi ambiti, offrendo prospettive esterne al contesto locale di Aragona. I partecipanti sono invitati a sviluppare progetti e idee individuali o collettive sul ruolo e la funzione futura della palestra.
La residenza vede coinvolti gli artisti visivi Juliane Tübke (Germania), Eleni Tongidou (Cipro) e l’architetto Simon McNair (Danimarca). Durante la residenza, i partecipanti hanno interagito con la comunità locale, conducendo interviste, collaborazioni, ricerche e raccolta di materiali del territorio. I risultati includono prototipi, schizzi, interventi site-specific, performance, installazioni e sculture. Aprire e riattivare spazi abbandonati è importante, ma ancora più essenziale è dotarli degli strumenti necessari per restare attivi e al servizio delle comunità a cui appartengono. Altrimenti, si rischia di creare mostre che, come gli spazi stessi, finiscono nell’oblio. In questo senso, School of Life è un’iniziativa sociale che invita i residenti a contribuire attivamente alla riattivazione continua della scuola.

Juliane Tübke – Eco di Aragona (2025) è una lettura performativa basata su interviste a residenti di Aragona — persone di ogni età, inclusi ex alunni della scuola “Do Giocatu”. L’opera riflette sul passato, il presente e il futuro possibile della palestra — costruita negli anni ‘90, mai aperta, e oggi riattivata attraverso una serie di interventi artistici. Come parte di questo processo, la lettura dà voce allo spazio per la prima volta. Frammenti di memoria, pensieri sulla comunità e visioni di ciò che potrebbe essere sono intrecciati in un copione poetico. Interpretato da residenti di Aragona, le loro voci si fondono in un’eco collettiva — abitano un luogo rimasto a lungo in silenzio. Con: Erika Salamone & Matilde Salamone.
Eleni Tongidou – Antichó (2025) filo, gesso, argilla, sedimento del sito Antichó (dal greco “risuonare”) è una risposta spaziale a un edificio lasciato aperto al tempo e agli elementi.
Nella parte alta dell’interno, la pioggia ha lasciato segni verticali sulle pareti: iscrizioni modellate da esposizione e gravità. Queste tracce diventano la base per una griglia tridimensionale sospesa, realizzata con fili ricoperti di gesso, argilla, sedimenti locali, muffe e licheni, collegando l’opera a processi di trasformazione in corso. Questa struttura precaria registra lo spazio tanto quanto lo trasforma, dispiegandosi attraverso il movimento dell’osservatore. Non considera l’usura dell’edificio come sintomo, ma come forma emergente. Accettando lo spazio nel suo stato attuale, l’opera sottolinea la soggettività dell’esperienza e, di conseguenza, della realtà. Antichó riflette sistemi esistenti — spaziali, biologici, architettonici — e li riallinea in una nuova armonia.
Simon McNair – Aragona Charter (2025) Aragona Charter è un’indagine spaziale e materiale sull’incompiuto; un edificio sospeso tra intenzione e abbandono. Lontano dall’essere un fallimento, il sito è interpretato come un archivio vivente di potenziale interrotto. Utilizzando materiali locali come terra, calcare fossile e campioni botanici, il progetto mette in discussione le tradizioni dell’artigianato, della permanenza e della conservazione. Questi elementi tracciano un dialogo tra storia, decadimento e intenzione. Al centro del progetto vi è un documento speculativo di conservazione (Aragona Charter), che reimmagina il valore degli edifici incompleti o inutilizzati. Ispirato alle convenzioni del patrimonio, ma discostandosi dalla logica lineare della conservazione, propone l’incompiuto come spazio di riflessione, adattabilità e coesistenza — sia umana che non umana. Sbloccare le porte chiuse diventa un gesto performativo di riattivazione collettiva. Una sezione dell’interno è stata liberata per rivelare superfici grezze come siti d’incontro. Qui la conservazione non è il completamento, ma un atto aperto di cura.
All’ingresso della scuola il murale (322 x 300 cm 2025) dal titolo Ultimatum di Andrea Mineo. Aprire e riattivare spazi abbandonati è importante, ma ancora più essenziale è fornire gli strumenti necessari affinché questi luoghi restino vivi e al servizio delle comunità a cui appartengono. Altrimenti, si rischia di creare mostre destinate inevitabilmente ad essere dimenticate in edifici che restano abbandonati. Il murale intitolato Ultimatum si sviluppa su più livelli di complessità. La parte superiore offre un’illustrazione schematica delle priorità, delle scadenze temporali e delle aree critiche dell’edificio, insieme alla rappresentazione visiva delle dinamiche tra artisti, comunità e contesto. Da lì, il murale evolve verso un linguaggio visivo più astratto e aperto all’interpretazione, invitando a riflettere sul sé e sulle prospettive individuali. Ho sempre trovato problematico che i graffiti vengano spesso realizzati in spazi abbandonati e lasciati al degrado. Questo murale, però, vuole fare il contrario: offrire uno strumento per la riattivazione della scuola abbandonata di Aragona. Ultimatum è un anti-murale perché ha una data di scadenza. Non esiste per riempire uno spazio vuoto, ma per innescare un’azione. Spesso, il lavoro viene svolto solo quando vengono imposte delle scadenze. Questo murale ne suggerisce una, offrendo direzione e urgenza invece che ambiguità. Ispirato alla Field Theory dello psicologo Kurt Lewin, il murale riflette su come spesso le persone ripetano tentativi fallimentari di crescita. Secondo la teoria dei campi, ciò accade a causa delle forze presenti nell’ambiente in cui vivono, nei loro “campi”. La vita di una persona è composta da molteplici spazi distinti, e i suoi obiettivi sono influenzati dalle forze che la spingono avanti o la frenano. Il murale visualizza questo concetto: la linea tratteggiata rappresenta il percorso che bisogna attraversare per raggiungere un obiettivo, passando per diversi spazi. Anche se più persone possono condividere lo stesso obiettivo, il campo, cioè il percorso, è diverso per ciascuno. I campi possono cambiare, scomparire o emergere in base agli eventi della vita. Il murale ha anche una funzione pratica: include uno spazio dove le persone possono registrarsi e assumersi la responsabilità di specifici interventi di ristrutturazione dell’edificio. Ultimatum è una chiamata all’azione, uno strumento e una mappa poetica per la riattivazione collettiva.
testo e foto di Luigi Mula – [email protected]