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Regioni ed Enti Locali

Ars, seggio all’On. Pippo Gianni: “non si abbiano più casi come il mio”

“Sono stati anni di esilio quelli che ho vissuto lontano da queste aule dove il mio collegio elettorale aveva voluto che esercitassi funzioni politiche; funzioni che, nonostante gli incresciosi fatti ormai acclarati, con mia grande soddisfazione, le ho comunque potute svolgere come sindaco di Priolo Gargallo, simbolo della mia provincia, Siracusa”.
Lo afferma Pippo Gianni
“Ma, l’onore della fascia tricolore non ha potuto lenire il dolore per una ingiustizia che ha rasentato gli eccessi del sopruso. Finalmente giustizia è stata fatta; in realtà questo è stato il primo passo. Tengo a precisare che non è la giustizia per Pippo Gianni, ma la giustizia per il popolo siciliano! Un’esperienza amara, non posso nasconderlo, ma anche formativa: perché ho potuto toccare con mano quello che Leonardo Sciascia, parlando della macchina delle leggi, chiamava “Ingranaggio”, traendo nondimeno insegnamento per conoscere maggiormente le dinamiche di una Regione la cui certezza può essere minata anche da una indebita pretesa individuale. Ma non solo: ho potuto riaffermare la mia fiducia nella giustizia, anche grazie ai miei eccellenti avvocati, cui mi sento obbligato, e reintegrare così la pienezza della mia condotta e della mia coscienza di uomo e di politico. Emulando un mio antico progenitore, re Gelone di Siracusa, sarei tentato di dire che l’estate ha perso in questi anni la sua primavera, ma peccherei di Hybris, di tracotanza, perciò mi piace oggi riconoscermi più in Timoleonte, che dai siracusani fu amatissimo per quanto fece come sindaco ante litteram, più che per le sue gloriose gesta contro i Cartaginesi combattuti in tutta la Sicilia. Mi sia permesso almeno di esprimere insieme alla gioia anche l’amarezza per ciò che non è stato, non meno di una speranza e di una promessa: che non si abbiano più casi come il mio e che non mi risparmierò nel mio futuro impegno politico”, conclude Gianni.

“La sentenza di revocazione n. 866/2020 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, che ha revocato le sentenze nn. 46/2014, 47/2014 e 394/2014, rappresenta un unicum nei suoi contenuti” – commentano gli avvocati Michele Cimino, Massimiliano Mangano e Valentina Castellucci.
“Anzitutto è la prima sentenza di revocazione per dolo del giudice nel panorama della Giustizia Amministrativa, seppur non sia la prima volta che le cronache raccontano di giudici corrotti. Tuttavia, ci dispiace notare come questa vicenda sia passata come una battaglia tra Pippo Gianni e Pippo Gennuso.
In realtà è una battaglia che abbiamo sposato con Pippo Gianni per risarcire quella giustizia violata, che ha messo in discussione lo Statuto Siciliano, e che dunque ha leso profondamente il principio democratico, ribaltando il volere del popolo, nonché il principio di separazione dei poteri!
Ci è dispiaciuto trovarci da soli in questa battaglia di giustizia, pensavamo che l’Assemblea Regionale Siciliana, lesa più di ogni altra persona o istituzione da questa vicenda, intervenisse attivamente, con un ricorso incidentale, per far cessare anche indebite percezioni economiche. Anche se, siamo certi, e su ciò vigileremo, che la stessa Assemblea adesso si attivi per recuperare tutto quel denaro che, ad esempio, si è speso inutilmente per la rinnovazione delle elezioni, oggi pagato dai cittadini siciliani.
Il risultato del giudizio non era scontato.
Il primo ostacolo è stato il tempo: solo 20 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento; avremmo potuto utilizzare altri strumenti, qualora avessimo avuto come obiettivo la soddisfazione economica di Pippo Gianni, ma scientemente abbiamo voluto, in nome di quella giustizia, costruire un ricorso per revocazione per dolo del giudice.
La sentenza risolve anzitutto il dibattuto problema degli effetti della sentenza di patteggiamento nel processo amministrativo.
Ed infatti, seppur non abbia effetti automatici, la stessa, comunque, non può non produrre alcun effetto: sarebbe una stortura del sistema giurisdizionale permettere che rimanga in vita una sentenza solo perché il dolo è stato acclarato con una sentenza diversa da quella di condanna in senso stretto. Su tale solco, recenti interventi legislativi hanno proprio tentato di avvicinare il più possibile la sentenza di patteggiamento a quella di condanna, prevedendo, fra l’altro, che la prima abbia gli effetti della seconda.
In un secondo tempo, posto che non si producono nei giudizi civili e amministrativi gli effetti automatici della sentenza di condanna, la sentenza analizza gli altri elementi richiesti dalla norma per poter procedere alla revocazione, cioè alla rimozione della pronuncia e dei suoi effetti, nella c.d.

fase rescindente. Superata positivamente questa fase, passa alla c.d. fase rescissoria, cioè quella fase in cui è stato ripetuto il giudizio di appello depurato del vizio e, dunque, incorrotto.
Il Collegio giudicante ha analizzato gli originari appelli, rigettandoli, o meglio dichiarandoli inammissibili, e confermando le originarie sentenze di inammissibilità del TAR Palermo, n. 361/2013 e n. 450/2013.
In particolare, il denunciato vizio della c.d. scheda ballerina non è provato, i ricorrenti si erano limitati ad avanzare dubbi sulla correttezza del risultato elettorale: dove, però, l’alterazione della volontà popolare costituiva una mera ipotesi strumentalmente formulata, ma non suffragata da alcun elemento sostanziale e concreto; le affermazioni dei ricorrenti sono rimaste delle mere illazioni, prive di fondamento. E non può nemmeno essere assunto a vizio invalidante lo smarrimento del materiale elettorale in un momento successivo alle elezioni: trattasi, come riconosciuto dalla giurisprudenza, di un fatto posteriore e come tale sottratto al sindacato del giudice amministrativo. Evidenziando inoltre che lo Statuto Siciliano prevede la contestualità delle elezioni del Presidente e dei Deputati, in virtù della specifica forma di governo, caratterizzata dal principio simul stabunt simul cadent, che in nessun caso avrebbe permesso la rinnovazione parziale per come disposta dal giudice corrotto.
Infine, la pronuncia nega il rimedio c.d. restitutorio, in quanto le pretese economiche potranno esser soddisfatte con apposito giudizio risarcitorio.
Questo è in sintesi il contenuto della sentenza n. 866/2020, di cui non possiamo che ritenerci professionalmente soddisfatti”.

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