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“Ero Malerba”, sold-out per il docufilm tratto dal best seller di Carmelo Sardo – INTERVISTA

ero malerbaLa storia di un giovane uomo che sente di dover fronteggiare da solo lo sterminio della propria famiglia.

Di un uomo che non ha fiducia nello Stato, né in alcuna altra istanza morale capace di contenere la ferocia umana. Di un uomo che scampa per miracolo a quattro agguati e decide di rinunciare a tutto, anche all’amore, per vendicare i suoi cari e sopravvivere.

E’ la storia racchiusa nelle pagine di “Malerba“, il libro edito da Mondadori scritto a quattro mani dal giornalista agrigentino Carmelo Sardo e dal protagonista della cruenta guerra di mafia, che, tra la fine degli anni ’80 e gli inizi degli anni ’90, sconvolse la provincia di Agrigento, Giuseppe Grassonelli. Un romanzo che ha riscosso grande successi e il riconoscimento di importantissimi premi, come il prestigioso “Leonardo Sciascia-Racalmare”; i diritti del libro sono stati venduti in Brasile, Giappone, Spagna, America Latina, Germania, Francia, Turchia, Russia e Grecia.

Una storia che non poteva non essere proiettata sul “grande schermo” grazie alla sensibilità artistica del giovane regista agrigentino Toni Trupia. Un docufilm che racconta la storia dell’ex sanguinario boss, della sua discesa agli inferi, della sua redenzione in un carcere che, dopo 25 anni ne ha fatto un uomo nuovo, un sensibile, colto, obiettivo dottore in lettere moderne. E’ lui il protagonista indiscusso di “Ero Malerba“, che racconta la sua storia anche attraverso le voci di magistrati, professori universitari, e dallo stesso autore Carmelo Sardo, che ha vissuto da giovane cronista quei sanguinari anni empedoclini.

La “prima” siciliana del docufilm è stata proiettata in questi giorni al Cine Mezzano, riscuotendo il sold-out nei quattro giorni previsti, costringendo la sala cinematografica di Porto Empedocle a prorogare la proiezione fino al 10 gennaio.

La redazione di Scrivo Libero, ha incontrato l’autore Carmelo Sardo, reduce dai successi della sua ultima fatica letteraria Per una madre“, edito da Mondadori, un romanzo ambientato in Sicilia che racconta l’indagine personale di un giovane per scoprire se realmente vi sia la mafia dietro l’omicidio di sua madre. 

“Ero Malerba”, il docufilm ispirato al tuo libro scritto a quattro mani con Giuseppe Grassonelli, in questi giorni sarà proiettato a Porto Empedocle. Che sensazioni hai provato nel rivedere sul “grande schermo” quel periodo che ti ha indirettamente visto protagonista come giornalista?

E’ stata un’emozione unica debuttare proprio a Porto Empedocle, che non solo è la città d’origine mia e di Giuseppe Grassonelli, ma anche lo scenario reale dei fatti: successe tutto qui tra la seconda metà degli anni 80 e i primi del 90. E quella sera quando tutto cominciò, il 21 settembre del 1986 con la strage al bar Albanese, io stavo giusto andando a cinema, proprio al cine Mezzano che dista cinquanta metri. Facevo il cronista a quel tempo, per Teleacras e per il quotidiano “L’Ora” di Palermo, e quella sera saltò il mio <film> e mi ritrovai catapultato in una realtà sconcertante. Cadaveri sul marciapiedi crivellati di proiettili, tavolini e sedie a gambe all’aria, una miriade di poliziotti e di carabinieri e il terrore che si era preso tutti noi. Nessuno sapeva a quel tempo che in quella strage Giuseppe Grassonelli era rimasto ferito, e miracolosamente si era salvato. Né potevo lontanamente immaginare che trent’anni dopo saremmo tornati qui per raccontare quella strage e la sua storia.

Carmelo, da giovane reporter, alla fine degli anni ’80 hai conosciuto la storia di un uomo che ammazza per non farsi ammazzare. Da allora, come hai visto l’uomo Giuseppe Grassonelli nella sua evoluzione da killer a uomo che scientemente oggi capisce gli errori commessi?

Conoscevo Giuseppe in quegli anni solo nella foto segnaletica che avevano distribuito i carabinieri quando gli davano la caccia. Poi lo arrestarono, il 15 novembre del 1992 e lo hanno sepolto in carcere con l’ergastolo a vita. Di lui per oltre vent’anni non seppi più nulla fino a quando, nel 2012, una sorella mi ha contattato via Facebook per chiedermi se potevo andare in carcere a incontrarlo perché voleva parlarmi. All’inizio esitai, convinto com’ero che si trattasse del solito criminale pentito che voleva ravvedersi strumentalizzando un giornalista. Ma qualcosa mi spingeva ad accettare. Sono andato e quell’incontro mi ha cambiato la vita. Ho avuto subito netta e forte la percezione di avere di fronte un uomo totalmente cambiato e straordinariamente colto e intelligente e non più quel semianalfabeta che a 26 anni entrò in carcere. Mi ha conquistato subito, pur nelle sue ambiguità. Non avevo solo di fronte un uomo che voleva cancellare gli orrori e gli errori del passato. Ma un uomo che voleva ripensarsi e restituirsi alla società dopo un lungo percorso di resipiscenza che lo ha portato fino alla laurea in lettere moderne con 110 e lode. Un uomo che oggi capisce e apprezza il senso dello Stato e veicola messaggi di senso civico e di legalità soprattutto alle nuove generazioni.

La decisione di scrivere Malerba, e poi di farne un docufilm, è anche dettata dal fatto di porre agli occhi dell’opinione pubblica una riflessione attenta sul tema del “fine pena mai”?

Abbiamo scritto “Malerba” principalmente perché Grassonelli aveva da raccontare una storia potentissima. Un viaggio di andata all’inferno e di ritorno nella legalità. Le due cose sono indispensabili per tratteggiarne l’uomo e quel che è diventato. Se non avesse commesso gli orrendi reati di cui si è macchiato, il suo recupero non avrebbe avuto lo stesso spessore e la stessa importanza rispetto a un delinquente colto a rubare al supermercato. Chiaro che senza quel recupero, la storia non avrebbe avuto senso, se non per ispirare libri o film di genere: cronaca nera pura. Ma la sua parabola criminale e la sua redenzione dopo quasi un quarto di secolo di carcere durissimo ci hanno permesso di far conoscere l’inevitabile deriva di chi sbaglia e di esportare all’esterno le dure leggi di questo paese che contempla, unico in Europa, l’ergastolo ostativo: una condanna perpetua, fine pena 31.12.9999 che non permette al reo di poter beneficiare di alcun permesso, a meno che non decida di collaborare con la giustizia. Cosa che Grassonelli ha scelto di non fare, e piuttosto ha preferito una forma di collaborazione sociale perché oggi lui ammette tutte le colpe, si accusa di tutti i reati che ha commesso, ma lo fa senza chiamare in correità nessuno e dunque senza ottenere benefici. Moltissima gente, perfino studenti di giurisprudenza, sconosceva prima di “Malerba” l’esistenza dell’ergastolo ostativo.

“Ero Malerba” non fa conoscere solo la vita di Giuseppe Grassonelli, ma racconta il viaggio di un uomo “nuovo” che dagli inferi ha deciso di varcare la soglia della legalità. Un percorso, anche grazie alla cultura, di redenzione che rappresenta anche un forte messaggio.

Giuseppe deve il suo strepitoso percorso di recupero alla sua sensibilità, alla sua intelligenza, ma anche a un episodio casuale se vogliamo. Nei primi giorni della sua detenzione, in una cella dell’Asinara, trovò in un cassetto una copia del libro “Guerra e Pace” di Tolstoj. Provò a leggerlo ma non lo capiva. Si rese conto di essere mezzo analfabeta e da quel momento si impose di studiare e di recuperare. Infine lesse il libro e lo rilesse e ogni volta piangeva di commozione. Cominciò così la sua scalata culturale fino alla laurea. E deve dire grazie a quello che lui reputa il <suo> maestro, il professore Giuseppe Ferraro, titolare della cattedra di filosofia dell’università Federico II di Napoli. Lui lo ha scovato in carcere, lui lo ha preso per mano e condotto dentro gli studi filosofici fino a esortarlo a scrivere la sua storia per esorcizzare il suo passato. E grazie poi all’incontro con me, alla scelta che ha fatto di affidarsi a me, che a quel tempo raccontavo la guerra di mafia senza sapere che lui fosse uno dei protagonisti, è venuto fuori questo potente libro a quattro mani che Mondadori ha deciso di pubblicare nel giugno del 2014 ed è stato poi venduto in otto paesi e uscito pure in giapponese e in cirillico.

Ti aspettavi un successo così eclatante? Un sold-out che, ricordiamo, ha “costretto” il Cine Mezzano di Porto Empedocle a continuare con la programmazione.

Devo confessare che un successo di queste dimensioni era inimmaginabile. Sì, capivo che la storia fosse straordinaria, e lui un personaggio strepitoso. Ma non potevo sospettare che arrivassimo così lontano. Il docufilm diretto da Toni Trupia, con Grassonelli e me protagonisti, era nato in forma propedeutica a un film vero e proprio su cui lo stesso Toni sta lavorando. Poi quando abbiamo rivisto il materiale e le sei ore di straordinaria testimonianza di Giuseppe, ci siamo resi conto che meritava di non essere solo materiale di studio, ma abbiamo capito subito che bisognava divulgarlo. Lo abbiamo così <allargato> alle testimonianze di altri protagonisti di quel tempo e soprattutto abbiamo raccolto le intime e commoventi testimonianze dei familiari di Giuseppe Grassonelli, della madre, di fratello e sorelle che con coraggio e dignità si sono messe a nudo davanti alle cineprese. E’ nato così un docufilm che ha vinto un prestigioso festival come “Visioni del mondo” di Milano, trionfando davanti ad altri 14 docufilm in entrambe le categorie: giuria tecnica e giuria giovani. In sala a Porto Empedocle è stato un successo che è andato al di là di ogni previsione: confesso che eravamo un po’ titubanti con il regista e con la produttrice esecutiva Angelisa Castronovo nel proporlo al debutto proprio a Porto Empedocle. Ma alla fine la scelta è stata premiata con una risposta matura e intelligente della città, degli empedoclini, e soprattutto dei numerosissimi giovani che sono andati a vederlo e ne hanno recepito il messaggio e il valore del recupero di Giuseppe. Non sarà un caso che “Ero Malerba” è corteggiatissimo da nord a sud e soprattutto richiesto nelle scuole, dove abbiamo già cominciato a portarlo. Sono felice, siamo felici. Lo è soprattutto lui, Giuseppe Grassonelli, che dalla sua cella tre metri per tre sta cominciando a uscire dall’oblio in cui era relegato, coltivando il sogno un giorno di poter tornare anche solo per una nuotata veloce nella sua Porto Empedocle.

Francescochristian Schembri

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