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Fase 2, parrucchieri e estetisti sul piede di guerra: avviata petizione

“No. Non ci stiamo! Alla luce del nuovo decreto, una profonda riflessione. Abbiamo chiuso i nostri saloni e centri estetici prima del decreto di marzo, gesto di sensibilità e responsabilità nei confronti della clientela e dei nostri collaboratori, nonostante una grande preoccupazione e incertezza sul prossimo futuro”.

E’ questo il grido d’allarme lanciato dalla categoria dei parrucchieri e degli estetisti dopo le nuove annunciate misure del governo nazionale sull’avvio della cosiddetta “Fase 2”.

“Le nostre realtà vanno dal salone/centro estetico con un collaboratore, a realtà con più di 30 collaboratori – sottolineano gli artigiani nella petizione pubblicata su change.org -. Stiamo impegnando le nostre giornate per studiare strategie, ricercare nuovi stimoli ed opportunità, certi che ogni periodo difficile (e questo in particolar modo) lasci una porta aperta a nuove possibilità. Ma a queste nuove norme no, non ci stiamo”.

Una petizione che sta coinvolgendo tutti gli artigiani del settore da Nord a Sud e che trova sempre più consensi. Misure che – a dire degli addetti ai lavori – renderebbe impossibile ogni tipo di attività. Difficile infatti far fronte ai costi fissi, del personale, alle tasse, alle bollette e tanto altro. In Canada, ad esempio i parrucchieri che fanno lo stesso identico lavoro, pagano il 13% dell’Iva, i ristoranti in Italia pagano il 10% perché offrono un servizio, mentre i parrucchieri  in Italia pagano l’Iva al 22%.

“Abbiamo colleghi in Germania – si legge nella petizione – che hanno percepito a fondo perduto da 9.000 a 15.000 euro (mese) per far fronte alle spese vive ed essere pronti a ripartire con competitività. Una grande parte di imprenditori non ha ricevuto ad oggi neanche i 600 euro dall’INPS (che tra l’altro servono appena a pagare l’energia elettrica) e un’attenzione da parte del governo ci è dovuta! Chi ha un’impresa sa cosa vogliamo dire, e chi disegna le leggi ha il dovere di conoscere la realtà, qualche volta distorta come non mai in questi tempi (abbiamo archiviato i giornali più rappresentativi degli ultimi 9 mesi), da considerazioni di politici che vedono in noi, bar, ristoranti, piccoli commercianti solo categorie di incalliti evasori. Oltre a tanto lavoro, tanto tempo tolto a famiglia, affetti e investito per la crescita professionale non vediamo grandi ricchezze. La stragrande maggioranza dei piccoli imprenditori vive con quanto produce in giornata, famiglie comprese. Chi decide oggi, non ha idea di cosa voglia dire vivere da artigiano, piccolo imprenditore, barista o ristoratore. D’altronde chi percepisce uno stipendio importante con regolarità non si pone questi problemi. Non è vero che per tutti andrà bene, per tanti sarà difficile rialzarsi ma d’altronde questo governo non comprende le difficoltà di chi sta scrivendo, altrimenti le azioni sarebbero diverse”.

“Chiediamo – recita la petizione – un po’ di rispetto per noi e per i nostri collaboratori. Chiediamo di aprire perché è l’unico modo per non fallire. A meno che il governo non intervenga, paghi tutte le spese (e sono parecchie migliaia di euro al mese) e garantisca puntualmente la cassa integrazione ai nostri collaboratori”.

Una richiesta rivolta non solo al governo centrale, ma anche ai Presidenti delle Regioni affinché si facciamo promotori delle richieste di un settore che, diversamente, potrà subire gravi danni economici.

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