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Mafia, omicidio Di Girgenti. Il testimone di giustizia Cutrò chiede verità alla commissione Antimafia

Il testimone di Giustizia, Ignazio Cutrò attende la verità sul suo grado di sicurezza e su quello dei suoi familiari. L’imprenditore di Bivona, nei giorni scorsi ha chiesto, al presidente Nicola Morra, di essere ascoltato in seduta plenaria, della commissione parlamentare Antimafia.

Egregio signor presidente Morra, Le scrivo – si legge in una lunga missiva di Cutrò – dopo aver appreso che il collaboratore di giustizia, Pasquale Di Salvo (ex poliziotto ed ex autista del giudice Giovanni Falcone) ha confessato di avere ucciso, in nome e per conto dei fratelli Panepinto di Bivona, Vincenzo Antonio Di Girgenti. Il suo – scrive ancora il testimone di Giustizia – fu un favore fatto alla famiglia mafiosa dei Panepinto che volevano vendicare l’uccisione di Ignazio Panepinto. Un favorespiega ancora Ignazio Cutrò – reso possibile dai forti legami di vincolo mafioso tra il mandamento di Bagheria e quello di Bivona“.

Come è noto, i soggetti citati dal testimone di Giustizia, sono gli stessi che Cutrò ha denunciato e fatto arrestare nell’ambito dell’operazione antimafia “Face Off” e che, dopo aver scontato la loro condanna, sono tornati in libertà.
Cutrò, nella sua lunga missiva, descrive tutti i passaggi che hanno indotto, le autorità competenti, a ridimensionare completamente il livello di protezione al punto da decidere di non assegnare più la scorta nè al testimone di Giustizia e neanche ai suoi familiari. Ignazio Cutrò, ha spesso chiesto la verità sul reale rischio a cui è soggetto, istanze che si sono intensificate dopo la pubblicazione di alcuni stralci di intercettazione scaturite dall’indagine antimafia “Montagna” dalle quali si evincono chiare minacce di morte indirizzate all’imprenditore antiracket.
Cutrò, nella sua lettera al senatore Morra, ripercorre analiticamente tutti i passaggi, indica con date e con nomi e cognomi tutte le decisioni adottate nella sua vicenda e che contrastano, invece, con il lavoro svolto dalla magistratura.

La famiglia Cutrò – si legge nella missiva – è stata abbandonata dallo Stato al loro destino. Ci aspettavamo di più da chi aveva il dovere di proteggerci. Signor Presidente – chiede infine il testimone di Giustizia – voglio sapere la verità e conoscere le ragioni della menzogna. Credo che in questa vicenda ci siano tutti i presupposti per valutare l’avvio di un’inchiesta da parte della Commissione da Lei presieduta allo scopo di accertare esattamente come si sono svolti i fatti e individuare i responsabili di coloro che hanno sovraesposto la mia sicurezza e quella della mia famiglia”.

L’imprenditore Ignazio Cutrò si rivolge dunque al presidente della commissione parlamentare Antimafia di cui fa parte anche la deputata e testimone di Giustizia, Piera Aiello. Quest’ultima, in relazione alle dichiarazioni del pentito si è invece rivolta al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. La deputata del gruppo misto, con una interrogazione a risposta scritta, chiede al Viminale, una verifica sul grado di rischio della famiglia Cutrò.

nota stampa 

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