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Racconti d'Estate

“Racconti d’Estate”: la prima parte di “Grano Duro” di Giuseppe Graceffa

foto giusepppe GraceffaRacconti d’Estate“, la nuova rubrica settimanale di Scrivo Libero, che per questa stagione estiva vuole allietare i nostri lettori con alcuni racconti dello scrittore aragonese, Giuseppe Graceffa (in foto), un autore poliedrico che predilige spaziare con disinvoltura tra generi letterari diversi, dal realismo alla fantascienza, nonché tra stili di scrittura differenti, dal romanzo al racconto, dalle sceneggiature ai saggi.

Finalista in diversi concorsi letterari, ha pubblicato un saggio cinematografico sulla trilogia di Matrix e un romanzo fantasy dal titolo “Il Sigillo di Khor” edito dal gruppo editoriale Twins Edizioni & David And Matthaus, disponibile in libreria.

Inauguriamo questa rubrica con:

GRANO DURO
PARTE PRIMA

Totò si tolse la coppola e si deterse il sudore dalla fronte con un braccio. Arrotolò ancora di più le maniche della camicia e infilò il cappello in una delle due grosse ceste di vimini che stavano appese ai lati del mulo. L’animale avanzava placido e senza fretta e l’uomo in groppa cominciava a sentire il calore del sole che bruciava la pelle e rendeva affannoso il respiro. Cercò di sistemarsi meglio sulla sella logora spostando le gambe sopra il dorso del mulo. Ogni tanto sentiva la necessità di cambiare posizione anche perché la presenza delle due ceste ingombranti non gli consentiva di tenere le gambe nella loro posizione naturale ai fianchi dell’animale.
Lanciò dei suoni gutturali per cercare di spronare il mulo a un’andatura più sostenuta, ma quello non sentiva ragioni e incurante a ogni sollecitazione, metteva una zampa dietro l’altra con estrema tranquillità lasciando dietro di sé, ad ogni passo, una piccola nuvola di polvere che restava sospesa in aria per qualche attimo per poi dissolversi inghiottita dalla luce del sole.
La strada, se così si poteva chiamare quella sorta di trazzera sterrata che dal mulino conduceva alla montagna Mintini era completamente deserta e si estendeva tortuosa tra campi aridi e collinette spoglie, piena di ciottoli e sassi che in ogni momento potevano ferire le zampe dell’animale. Ed era anche l’unica strada che dal paese portava al mulino di Cacarodduli, cosicché era obbligato a percorrerla ogni volta che doveva andare a macinare il frumento per ottenere la farina E ogni volta, sua moglie Maria che sembrava più affezionata al grano che a lui, gli riempiva la testa di raccomandazioni.
– Totò, non ti fare fottere – gli ripeteva ogni volta – che don Ciccio è malandrino e se ti può fregare col peso, ti frega.
E ogni volta Totò cercava di rassicurarla asserendo che don Ciccio era una persona per bene e onesta e che a lui, essendo un suo cliente assiduo, non gli conveniva fregarlo.
Ma la donna, che quasi piangeva quando riempiva le ceste con il suo grano, non sentiva ragioni e continuava a ripetergli di stare attento fino a quando poi non si metteva a pregare la Madonna e tutti i santi accompagnando con la sua litania il marito che caricava le ceste sul mulo.
Totò sorrise pensando alla moglie. Era una brava donna che non gli dava quasi mai fastidi. Era onesta e lavoratrice, anche se forse pregava un po’ troppo.
Ci vollero quasi due ore prima che arrivasse al mulino e quando si fermò accanto alla struttura di pietra, gli venne incontro don Ciccio che, abbagliato dalla luce del sole per un attimo non lo aveva
riconosciuto.
Totò scese dal mulo con un po’ di fatica accolto dal padrone del mulino.
– Totò come andiamo? – gli chiese tendendogli la mano.
– Baciamo le mani don Ciccio – rispose il contadino stringendogli la mano a sua volta.
– Carmeluzzo, Turiddu – gridò poi l’uomo rivoltò a due ragazzi che immediatamente uscirono dal mulino correndo – scaricate le ceste di Totò e non appena avete finito quella partita, macinate subito
il suo frumento.
Don Ciccio prese Totò a braccetto e lo spinse verso l’interno –Vieni Totò leviamoci dal sole e pigliamoci un bicchiere di vino, quello buono però, no quello che bevete in paese che fa cacare i porci.
Totò si voltò cercando di guardare cosa combinavano i ragazzi con le sue ceste, ma il padrone del mulino lo spinse via impedendogli di controllare cosa ne facevano. Entrarono in una stanza e lo fece accomodare su una sedia logora al lato di un piccolo tavolo di legno. Don Ciccio si diresse verso una credenza e tirò fuori una bottiglia piena di vino rosso e due bicchieri. Li posò sul tavolo e riempì per metà un bicchiere porgendolo poi al contadino. Riempì invece fino all’orlo l’altro bicchiere, lo alzò in direzione dell’ospite e lo bevve tutto d’un fiato, imitato da Totò che aveva effettivamente sete.
– Buono vero? – Chiese mentre riponeva la bottiglia nella credenza – questo lo faccio io con l’uva delle mie vigne.
– Buonissimo – concordò Totò asciugandosi la bocca con la manica della camicia – ora però mi scusasse che vado a vedere la macinatura, perché come sa meglio di me, l’occhio del padrone ingrassa i buoi.
Si alzò seguito dallo sguardo di don Ciccio che, nel frattempo, aveva messo via i bicchieri
– certo, certo, vai pure che io tra poco arrivo.
Il contadino quindi si recò nella sala delle macine dove erano al lavoro oltre ai due ragazzi, anche altri quattro uomini tutti intenti a svolgere le proprie mansioni e che non si accorsero nemmeno della sua presenza. Erano tutti a torso nudo e solamente uno di loro portava delle scarpe.
Due buoi attaccati a un lungo braccio di legno, giravano in tondo guidati da uno degli uomini e facevano ruotare la grossa macina di pietra che frantumava il grano all’interno della vasca, anch’essa di pietra. Un altro uomo, in piedi sopra la vasca, controllava la macinatura e con un lungo bastone smuoveva continuamente il grano. Gli altri due, invece, pesavano la farina, controllavano la
qualità e riempivano i sacchi.
Totò intravide le sue ceste e vi si avvicino, controllò la quantità di grano presente in ciascuna di esse e dopo essersi tranquillizzato che nessuno aveva preso parte del suo grano, rimase lì in piedi a osservare il lavoro.
Una volta pronta, la farina usciva da una botola al lato della vasca. Raccolsero quella di Totò, la pesarono davanti a lui, ne tolsero un certo quantitativo come compenso per il mulino e il resto il misero nella saccoccia che si era portato appositamente.
Don Ciccio, che aveva assistito personalmente alle operazioni, accompagnò l’uomo al mulo che era stato legato dai ragazzi a una staccionata.
– Grazie Don Ciccio, ci vediamo tra una decina di giorni.
– Certo Totò, noi sempre qua siamo, e almeno ti bevi un po’ divino di quello buono. Ah e salutami la signora.
– Non mancherò don Ciccio – rispose Totò mentre spronava il mulo ad allontanarsi e a riprendere la via di casa.
Il sole cominciava ad abbassarsi all’orizzonte e il suo calore iniziava a essere più sopportabile. Accovacciato sul suo mulo, Totò estrasse da una delle bisacce una bottiglia d’acqua e bevve avidamente, arso dalla sete.
Mentre la stava riponendo due uomini sbucarono da dietro una roccia davanti al mulo ostruendo la strada all’animale.
Totò che non si aspettava quell’intrusione, quasi cadde per terra e faticò non poco per tenersi aggrappato alla sudicia sella con la quale cavalcava il suo mulo. I due uomini, indossavano dei fazzoletti sul volto per nascondere le proprie sembianze e soprattutto, uno di loro, minaccioso, imbracciava un lungo e forcone mentre l’altro impugnava un coltello che teneva in bella vista col braccio teso in avanti.
Quest’ultimo prese le briglie del mulo e lo costrinse a fermarsi mentre l’altro teneva il forcone puntato contro Toto.
– Oh che volete? – Gridò furioso ma allo stesso tempo spaventato.
– Sta buono e scendi – gli intimò quello con il forcone.
– E vedi di stare calmo e muto – continuò l’altro.
– Chi minchia siete e che volete da me? – Ribatté ancora una volta il contadino che aveva capito benissimo che cosa volevano, ma cercava di prendere di tempo.
Per tutta risposta, l’uomo con il forcone lo afferrò per la camicia e lo strattonò verso il basso. – E scendi – gli gridò mentre lo spingeva, costringendolo in tal modo a scendere dalla cavalcatura.
Una volta a terra, lo spinse di lato e lo minacciò col forcone mentre il suo losco compare rovistava tra le sue bisacce.
– Eccola qua – esclamò tirando fuori la saccoccia con la farina.
Poi si avvicino a Totò e gli mise il coltello davanti agli occhi.
– Muto – gli disse – e guai a te se parli con gli sbirri.
Totò lo guardò con uno sguardo carico di odio e la sua rabbia aumentò quando intuì che sotto il fazzoletto che gli nascondeva il volto, l’uomo che lo stava minacciando sorrideva compiaciuto. Il ladro fece un gesto con la mano al compare e si allontanarono, prima lentamente, controllando le possibili reazioni del malcapitato, poi fuggendo a gambe levate, portando con sé la borsa con la farina.

Non perdete la seconda parte del racconto “Grano Duro” che sarà pubblicata sabato 4 luglio.
Ecco il calendario delle prossime pubblicazioni:

Sabato 4 luglio: seconda parte del racconto “Grano Duro“;

Sabato 11 luglio: terza (ed ultima) parte del racconto “Grano Duro“;

Sabato 18 luglio: prima parte del racconto “Il Dottore Licata“;

Sabato 25 luglio: seconda parte del racconto “Il Dottore Licata“;

Sabato 1 agosto: terza (ed ultima) parte del racconto “Il Dottore Licata“;

Sabato 8 agosto: prima parte del racconto “La Truscia“;

Sabato 22 agosto: seconda parte del racconto “La Truscia“;

Sabato 29 agosto: terza (ed ultima) parte del racconto “La Truscia“;

Sabato 5 settembre: prima parte del racconto “Questione di corna“;

Sabato 12 settembre: seconda parte del racconto “Questione di corna“;

Sabato 19 settembre: terza (ed ultima) parte del racconto “Questione di corna“.

Non mancate all’appuntamento!!!

Per acquistare l’ultima opera di Giuseppe Graceffa, Il Sigillo di Khor, visita il seguente link

Copertina il sigillo di khor

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