Patrocinata dal Comune di Agrigento, il Centro Culturale di Milano ospiterà dal 10 al 26 settembre una mostra retrospettiva dedicata a Giovanni Philippone (1922-1993), artista che nel capoluogo lombardo portò a maturazione la sua arte senza mai dimenticare la terra d’origine.
La mostra è stata pensata in forma itinerante dalla figlia Stella, a 25 anni dalla scomparsa del pittore, per ripercorrere il suo itinerario umano e artistico; ha già toccato San Giovanni Gemini, il paese che gli ha dato i natali, Agrigento, che gli ha dedicato tre sale nel museo civico ex Collegio dei Padri Filippini, e Palermo, dove Philippone frequentò l’Accademia di Belle Arti e conobbe Carla Accardi, Ugo Attardi e Pietro Consagra. La tappa di Milano è particolarmente importante perché l’artista scelse la città come luogo d’elezione nel 1946 e l’abbandonò solo dal 1950 al 1952 per trasferirsi a Parigi (ultima tappa in programma dell’esposizione) dove frequentò i corsi di Fernand Léger all’Académie desBeaux-Arts.
I temi della pittura L’esposizione raccoglie una trentina di oli e una decina di opere grafiche (disegni, acqueforti e chine), realizzati a partire dal 1950, che toccano tutti i temi della poetica dell’artista. A cominciare dai paesaggi siciliani impressi indelebilmente negli occhi di Philippone durante la giovinezza, popolati da alberi di ulivo contorti, capre giurgintane e cavalli quasi in un tempo sospeso. A questi soggetti si affianca la rappresentazione dell’universo femminile, espresso nelle figure materne che allattano e nei nudi carichi di sensualità delle “dure veneri terrestri”, come le ha definite Leonardo Sciascia nel 1981. Il terzo nucleo di opere è dedicato al viaggio, metafora della vita, che si incarna nei marinai, ritratti con pennellate intinte nell’espressionismo e nel cubismo, ma anche nel Cristo inchiodato alla croce, simbolo della dolorosa parabola umana.
Di lui Leonardo Sciascia ebbe a dire: «Ci sono poi le facce: dei contadini, delle donne contadine e, starei per dire, degli alberi: quei mandorli dai tronchi contorti e spaccati che sembrano sopravvissuti a un incendio. E l’incendio c’è, ed è quello dell’estate. Philippone ne coglie il riverbero negli interni, sui corpi delle dure veneri terrestri».