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Operazione “Assedio”, vertici e affiliati a “Cosa Nostra”: scattano 9 ordinanze di custodia cautelare

Nella tarda serata di ieri, i Carabinieri della Compagnia di Licata hanno notificato le ordinanze di custodia cautelare. 9 i destinatari della misura restrittiva.

Tutti pericolosi soggetti, fra cui anche il reggente della famiglia mafiosa di Licata. I provvedimenti sono stati emessi dal GIP del Tribunale di Palermo, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo. Le accuse sono, a vario titolo, quelle di associazione di tipo mafioso armata, finalizzata alle estorsioni, nonché di concorso esterno in associazione mafiosa.
La vasta operazione di oggi è il seguito della complessa e prolungata indagine dei Carabinieri della Compagnia di Licata, iniziata nell’ottobre del 2017, che aveva già portato lo scorso 19 giugno all’esecuzione di 7 fermi di indiziati di delitto. L’inchiesta era stata svolta con le più sofisticate tecnologie di intercettazione telefonica ed ambientale, con sistemi di localizzazione satellitare e, soprattutto, con una instancabile attività di indagine vecchio stile, fatta di pedinamenti e servizi di osservazione.
Le telecamere dei Carabinieri avevano registrato numerosi incontri e riunioni segrete, evidenziando la completa ed attuale interconnessione tra tutti gli appartenenti al sodalizio, nonché il legame a doppio filo con un rappresentante della famiglia mafiosa di Campobello di Licata (Ag).
Nel corso delle investigazioni, era stata persino accertata un’estorsione per dei lavori di costruzione recentemente realizzati in Germania. Per essi, la vittima, a seguito della sola intimidazione derivante dal vincolo associativo, non aveva esitato a versare la somma di 5000 euro.
I Carabinieri avevano altresì accertato che l’organizzazione nutriva forti interessi nel settore delle slot machines. Attraverso una compiacente società di distribuzione di apparati elettronici da gioco, il cui titolare è stato nuovamente colpito dall’odierna ordinanza di custodia cautelare in carcere, aveva avuto luogo infatti la installazione pilotata di apparati da gioco in numerosi esercizi commerciali dell’hinterland licatese.
Emblematici della sensibilità del territorio alla capacità di intimidazione dell’organizzazione furono due distinti episodi registrati dai Carabinieri. In un caso, era infatti emerso che un noto gioielliere licatese, dopo avere ricevuto una busta contenente un proiettile, aveva subito chiesto protezione al reggente della famiglia mafiosa e, solo successivamente, aveva denunciato l’episodio alle forze dell’ordine. In un secondo caso, invece, addirittura, un ex consigliere comunale di Licata, al quale era stato rubato un ciclomotore, si era rivolto al capo clan, al fine di potere rapidamente ottenere la restituzione del mezzo.
L’inchiesta aveva inoltre riguardato, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, un tecnico dell’A.S.P. di Agrigento, all’epoca consigliere comunale di Licata, il quale, in accordo con il reggente della locale famiglia mafiosa, in cambio della promessa di future utilità, aveva chiesto ed ottenuto l’appoggio elettorale del citato sodalizio durante le elezioni amministrative per il rinnovo del consiglio comunale di Licata, svoltesi a giugno del 2018.
Il consigliere comunale, che aveva rassegnato le sue dimissioni lo scorso 21 giugno, cioè due giorni dopo la sottoposizione a fermo, è oggi destinatario, con le stesse accuse, di un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari. Su di lui i Pubblici Ministeri, oltre agli elementi già riportati nella precedente misura di fermo, hanno esitato nuovi elementi di prova, che sono stati vagliati favorevolmente dal GIP per l’emissione dell’odierno provvedimento.

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