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Editoriali Spalla

Fofò, già ci manchi!

Il volto più popolare tra gli agrigentini è ospitato da giorni in una casa di riposo ad Aragona: per la città si è chiusa una pagina di storia. Fofò, già ci manchi!
Ho seguito poco di questa campagna elettorale, ma credo di essere in buona compagnia: nonostante la media di due candidati per famiglia, sono ben pochi gli agrigentini che hanno dato credito alle consultazioni del prossimo 4 ottobre. Del resto molti sono fuori, chi lavora al di là dello Stretto perché non ha trovato nulla dalle nostre parti le ferie giustamente se le spende per Natale e non certo per assistere alla danza tra le macerie fatta dai vari candidati in queste ultime settimane.

Personalmente la cosa che per davvero più mi ha colpito e attratto in questi giorni è stata un’altra: vedere la casa di Fofò Purtusu chiusa. Quelle porte sbarrate hanno dato l’impressione della fine di un pezzo di storia per Agrigento, quel silenzio in fondo alla via Duomo altro non è che il tassello sulla fine di un’epoca per la nostra città.

Fofò adesso è in una casa di riposo ad Aragona e questo basta per mettere nell’animo degli agrigentini quella sensazione che il compianto professor Jannuzzo chiamava “allammiccu”. Lui, che all’anagrafe fa Restivo, è uno dei pochi che ama realmente Agrigento ed è forse l’unico baluardo di giurgentinità rimasto.

Non c’è evento o manifestazione in cui Fofò non abbia lasciato traccia nella nostra città: per il Mandorlo durante le sfilate la gente aspettava, prima ancora che i gruppi, “Fonziu” vestito da paladino crociato, stesso costume che usava per sedersi in curva nord e sostenere l’Akragas allo stadio Esseneto. E non lo faceva soltanto per farsi vedere, soltanto per sfruttare (e lo sapeva fare bene) la popolarità della sua maschera. Fofò ci credeva e ci crede davvero ad Agrigento, tifa davvero per la nostra città, se potesse abbraccerebbe uno per uno tutti gli agrigentini. I quali però, spesso, lo hanno preso in giro, anche questo è da dire. A Natale molti ragazzi lo guardavano sorridendo mentre nella piazza della Bibirria piantava le decorazioni e toglieva le erbacce, tutto per dare agli abitanti del suo quartiere un pizzico di normalità.

Fonziu Purtusu è un po’ come una cartolina dal passato capace di descrivere la Agrigento che fu e che, dopo di lui, non sarà più. Una Agrigento genuina, rurale sì ma al tempo stesso molto viva tra i suoi vicoli del centro storico, tra i quartieri plasmati nei secoli da arabi e normanni, una città che ancora dai suoi abitanti veniva chiamata “Giurgenti”, dove la quotidianità era sinonimo di solidarietà tra le varie famiglie che nelle sere d’estate si sedevano tra i vari cortiletti.

Oggi che Fofò è fuori da Agrigento, mi rendo conto che di giurgintano è rimasto ben poco qui. Mi rendo conto quanto sia noiosa diventata questa città, piatta e scialba, svuotata delle sue migliori intelligenze, con le poche rimaste sempre più colpite dal vizio dell’autoreferenzialità e sempre più impegnate a disturbare i nomi di Pirandello, Camilleri e Sciascia per presentarsi come primi della classe. La verità è che Agrigento è una città triste, desertificata socialmente ed economicamente, un posto dove trovare qualcosa di diverso dalla media mediocrità è diventato tremendamente difficile, quasi superfluo.

Un posto dove uno come Fofò Purtusu già manca, un territorio dove è rimasto poco di autentico e genuino. Questa è la Agrigento di oggi, devastata da chi qui ha scialacquato fino a ieri e dove un po’ per tutti sta diventando nauseante sentir parlare del domani.

Mauro Indelicato

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