“Siracusa mi ha generato e Agrigento mi ha adottato”: Addio Sebastiano Lo Monaco
“Posso affermare che Siracusa mi ha generato e Agrigento mi ha adottato”.Mi piace partire da questa sua frase, che amava ripetere come un mantra, per parlare di Sebastiano Lo Monaco. Ho appreso oggi la notizia della sua scomparsa e mi sento profondamente triste. Ricordo perfettamente il mio primo incontro con il grande maestro. Parliamo di circa vent’anni fa. Sebastiano era in scena al Pirandello con una trasposizione del Cirano Di Bergerac, per la regia di Patroni Griffi. Lo incontrai per caso all’interno della chiesa di San Lorenzo. Lui stava osservando con attenzione gli stucchi del Serpotta. Lo riconobbi è lo andai a salutare. Ricordo il suo garbo e la sua gentilezza. Si intrattenne amabilmente a conversare con me sul testo di Edmond Rostand. Poi il resto è storia: la storia di una città e del suo riscatto culturale di cui Sebastiano Lo Monaco è stato uno dei principali artefici. Lo sentii per l’ultima volta al telefono qualche mese fa. Era felice per la mia telefonata. Mi confidò di trovarsi a Roma, gravemente ammalato, accudito dalla sua adorata madre e dall’inseparabile fratello. Oggi la drammatica notizia. Vorrei ricordalo riproponendo la mia ultima intervista con il grande regista ed attore siciliano. L’intervista risale al 21 settembre del 2021.
Cappello in paglia indossato con eleganza, pantaloncini e T-shirt neri, una camicia bianca lasciata leggermente aperta.
Sebastiano Lo Monaco è rilassato e prova a fare il turista in quella che lui definisce la sua città “adottiva”.
L’attore e regista, già direttore artistico del teatro Luigi Pirandello, dopo il successo dei suoi spettacoli alla Valle dei Templi di Agrigento, si concede una pausa di relax prima di iniziare le prove del suo prossimo spettacolo.
Lo Monaco, infatti, tornerà in teatro con il capolavoro di Luigi Pirandello: “Enrico IV”.
A poche settimana dalla riapertura del Teatro Pirandello, con il regista e attore siciliano abbiamo provato a tracciare un bilancio della sua esaltante esperienza artistica a servizio della massima istituzione teatrale agrigentina e centro culturale di riferimento per l’intero territorio. Ecco il racconto di un attore classico, anzi “pop”, com’è spesso definito dalla critica.
Lo Monaco lei è di casa ad Agrigento, qual è il suo rapporto con gli agrigentini?
“ Il rapporto con gli agrigentini è straordinario, non solo con il pubblico seduto in platea, ma anche con quello che poi si trasforma in persona. La mia avventura pirandelliana è iniziata nel 1992 davanti alla casa di Pirandello nel piazzale Caos. Lì detti, per la prima volta, la mia interpretazione del Berretto a Sonagli con Paola Borboni e Giustino Durano con la regia di Mauro Bolognini. Quest’anno ritornerò a fare il Berretto a Sonagli, con la mia regia e sarò in scena al Pirandello dal 15 al 20 dicembre. Pirandello è stato il mio autore più frequentato, subito dopo i tragici greci.”
Parliamo del Teatro Pirandello. Cinque anni fra i più riconosciuti e frequentati dal pubblico dalla sua riapertura : vuole svelarci il segreto di questo successo?
“Ho semplicemente ripetuto una formula che avevo già sperimentato alla direzione del Teatro Vittorio Emanuele di Messina; quando un teatro è l’unico teatro della Città, è necessario fare un cartellone ecumenico che possa accontentare maggiormente i gusti del pubblico, con uno sguardo rivolto al teatro classico e di tradizione, anche nel leggero. Ho cercato di coniugare la cultura alta con il consenso nazionalpopolare.”
Cosa intende per consenso nazionalpopolare?
“Nazionalpopolare non rivela un gusto mediocre o un appiattimento culturale, come nei programmi televisivi e nei personaggi che vi compaiono. Nazionalpopolare è un’espressione di Antonio Gramsci, la cultura alta raccontata al popolo, in modo tale che il popolo, secondo lo statista, la capisse e si elevasse. Per Gramsci gli spettatori dovevano essere il barbierie, l’operaio metalmeccanico, il commerciante. Ma anche i professori di liceo i presidi, gli avvocati. Io in teatro ho unito tutta questa gente. L’ho fatto a Messina, a Noto e poi ad Agrigento. Dicono che io sia uno dei pochi attori di teatro pop, cioè popolari. Mi ritrovo in questa affermazione, faccio testi colti, Shakespeare, Pirandello, Grasso, le tragedie greche, ma sempre con uno sguardo rivolto al popolo, cioè il pubblico.”
Un cartellone universale, basta solo questo?
“Il cartellone non basta, ci vuole tanta dedizione. Io ho vissuto queste stagioni, questi cartelloni, questi titoli. Li ho comunicati al territorio, facendo le conferenze stampa spettacolo in teatro, andando in giro in tutte le scuole dell’agrigentino, portando un pubblico di giovanissimi. Quando andai alla scuola media Giovanni XXIII di Grotte pensai che gli alunni fossero molto piccoli. Vennero, poi, in teatro, nelle poltrone quasi scomparivano, ma erano felici. Sono convinto che una buona parte di loro svilupperà una passione per il teatro.”
Lei ha anche ideato lo spettacolo dell’alba ai Templi?
“La Valle non aveva vissuto tutta questa vitalità artistica che gli ho fatto vivere io in questi 5 anni. Una vivacità che non ho solo attribuito a mese stesso, ma che ho allargato ai colleghi che hanno voluto esserne partecipi, come Marco Savatteri. Ritengo, pero, conclusa l’esperienza fatta per 4 anni con Iliade; se dovessi continuare avrei in progetto altre idee. Uno dei miei sogni è portare i tragici greci nella Valle.”
Il suo è stato anche un progetto che ha unito la Collina alla Valle?
“Forse perché non sono agrigentino io non vedo il taglio; noto, al contrario, un dialogo tra la Valle e la Città che sono un unicum dal punto di vista storico, artistico e monumentale.”
Come nasce la sua passione per il teatro?
“Sono stati i miei genitori e la loro passione per tutte le forme di spettacolo. Ho iniziato a recitare da ragazzino a scuola, poi in parrocchia le prime commedie dialettali. A otto anni a Siracusa ho assistito all’Antigone di Sofocle, ne rimasi profondamente affascinato. Poi nel ’77 fui ammesso all’accademia di arte drammatica a Roma ed uno dei maestri si chiamava Andrea Camilleri. Siamo rimasti in grande amicizia; nessuno lo sa, lui è stato il direttore artistico della mia compagnia fino al giorno della sua morte. Io gli ho voluto bene, ma credo che lui me ne abbia voluto molto di più. Mi ha sempre ritenuto un suo allievo verso cui nutriva ammirazione: affetto per il ragazzino che ha conosciuto a 19 anni, stima, poi, per l’uomo e l’artista. Andrea era un uomo buono e generoso, ma non regalava niente a chi non lo meritasse. Se io non fossi stato un suo allievo, che aveva fatto una bella carriera ed un bel percorso, lui alla mia compagnia la sua direzione artistica non l’avrebbe mai concessa.”
Il testo che ha amato di più?
“Le passioni ancestrali e quasi ossessive della mia vita sono l’Edipo Re di Sofocle e l’Enrico IV di Pirandello che sarà la mia prossima avventura teatrale, il 27 e 28 novembre prossimi andrà in scena al Pirandello. Sono due figli gemelli e non riesco a fare una scelta.”
Qual è l’eredità che lascia al Pirandello?
“Lascio la mia esperienza, la mia dedizione, il mio innamoramento. Ho messo al servizio del Pirandello tutta la mia capacità artistica e manageriale. Ho dialogato con gli attori più importanti d’Italia ed alcuni li ho quasi costretti a venire ad Agrigento, come Giancarlo Giannini e Lina Sastri. Mi auguro di avere costruito un humus fertile di pubblico, di abbonati, di studenti sui quali seminare in futuro. Auguro al Teatro un futuro glorioso e gioioso, perchè il Pirandello se lo merita. Con tutta sincerità, dopo i due teatri d’opera siciliani, è il teatro più bello dell’Isola. Recito al Pirandello dal 1995 e al Caos dal 92′, avevo 32 anni. Pirandello autore nella mia storia artistica è quello che ha inciso più di tutti. Con Pirandello e con i tragici greci ci ho costruito una carriera. Devo molto a Luigi Pirandello”.
E sul ritrovamento di un teatro antico, diceva:
“Sarebbe un evento epocale. Se dovesse venire alla luce un teatro, non solo si aprirebbero nuovi scenari per la Città dei templi, ma i miei sogni, le mie speranze ed il senso profondo della mia collaborazione con la Fondazione e in generale con la città di Agrigento assumerebbero un valore ancora più importante. Artisticamente parlando posso affermare che a Siracusa sono nato e ad Agrigento sono stato
adottato. Mi auguro solo che venga portato alla luce durante la mia vita terrena e non mi costringano a vederlo da lassù per poi fare il Deus ex machina”.
Ci piace chiudere con l’augurio e la speranza che questa esperienza non si disperda e che quello che ha fatto Lo Monaco in tutti questi anni ad Agrigento possa essere viatico per Agrigento Capitale Italiana della Cultura 2025.
Luigi Mula