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Racconti d'Estate

“Racconti d’Estate”: la seconda parte de “Questione di corna” di Giuseppe Graceffa

foto giusepppe GraceffaRacconti d’Estate“, la nuova rubrica settimanale di Scrivo Libero, che per questa stagione estiva vuole allietare i nostri lettori con alcuni racconti dello scrittore aragonese, Giuseppe Graceffa (in foto), un autore poliedrico che predilige spaziare con disinvoltura tra generi letterari diversi, dal realismo alla fantascienza, nonché tra stili di scrittura differenti, dal romanzo al racconto, dalle sceneggiature ai saggi.

Finalista in diversi concorsi letterari, ha pubblicato un saggio cinematografico sulla trilogia di Matrix e un romanzo fantasy dal titolo “Il Sigillo di Khor” edito dal gruppo editoriale Twins Edizioni & David And Matthaus, disponibile in libreria o al seguente link.

Dopo il successo di “Grano Duro”, “Dottore Licata” e “La Truscia”, oggi la seconda parte del racconto “Questione di corna“:

“QUESTIONE DI CORNA”
PARTE SECONDA

Antonio cercò di individuare quei gruppi che potessero offrirgli spunti interessanti ma sembrava che nessuno di loro fosse interessato alla reale sorte di Butera visto che nessuna delle discussioni verteva su questo tema.
Decise allora di fare la prima mossa. Individuò un gruppo di quattro persone che stavano stranamente in silenzio guardandosi attorno e disse a voce bassa ma rivolto ai suoi “obiettivi”
– certo che è strano però, un uomo come lui. –
Non continuò la frase e rimase ad aspettare una reazione da parte dei suoi improvvisati interlocutori. Reazione che non tardò ad arrivare
– eh quando capitano certe cose – disse con malcelata tristezza l’uomo più vicino, un signore dall’aspetto trasandato che aveva l’aria di saperla lunga sulle cose della vita e su questo caso in particolare.
Antonio non si lasciò sfuggire l’occasione e incalzò il suo uomo che dopo quelle prime battute non aveva continuato il discorso
– ma perché? Che è accaduto – chiese cercando di ottenere una risposta
– non mi faccia parlare – si schernì l’altro –cose brutte sono – continuò scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
Improvvisamente l’uomo che si trovava alla sua destra, un signore anziano che portava una vistosa coppola scura, sembrò improvvisamente ansioso di dire la sua
– ma perché non lo sa? – chiese ad Antonio con finto stupore e senza attendere risposta aggiunse
– questione di corna fu – condendo la frase con un sorrisino tra il compiaciuto e il divertito.
A quelle parole Antonio finse stupore e sbigottimento alzando le sopracciglia
– minchia – si limitò ad osservare, mentre il primo uomo, quello che in un primo momento era sembrato restio nel parlare, adesso invece voleva riprendere in mano le redini della conversazione o quantomeno mostrarsi come quello che conosce le cose come e più degli altri
– l’ha vista la moglie? Una femmina con i fiocchi…bedda, bedda, bedda – e portò le punte delle mano unite, alla bocca, gli stampo un bacio schioccando le labbra e riaprì la mano come a simboleggiare un fiore che sboccia
– bedda ma infedele. –
Nel frattempo l’anziano con la coppola, continuando a sorridere maliziosamente si fece più avanti e si avvicino ad Antonio in modo che le sue parole non fossero udibili da altri
– si dice che abbia un amante a Palermo e che se lo portasse a casa quando suo marito era a Roma o fuori per lavoro –
La discussione però improvvisamente cambio parzialmente direzione e i due uomini cominciarono ad infervorarsi sulla questione della modernità e su come le femmine moderne fossero diverse da quelle di una volta. Antonio, visto che probabilmente non avrebbe saputo niente di più, si spostò più in là per cercare di cogliere altri aspetti della vicenda. Tese le orecchie a tutte le discussioni che venivano portate avanti dai vari gruppi di persone ma riuscì solamente a cogliere, tra una risatina e l’altra, che una femmina come quella è difficile da tenere al guinzaglio. Quella frase così ad effetto non faceva che confermare le prime indiscrezioni che aveva sentito qualche minuto prima e cioè che l’onorevole Butera si fosse suicidato a causa del tradimento della moglie.
L’ipotesi era suggestiva e pruriginosa e non si stupì del fatto che la gente potesse assumerla come vera, in un mondo in cui il pettegolezzo era una parte importante, se non fondamentale della società. Non potè fare a meno però di stupirsi ancora una volta, nonostante dovesse essere ormai abituato, di come un funerale possa diventare un salotto in cui chiacchierare e sparlare della persona passata al mondo dei più.
Ricordava i funerali del suo paese che si trovava solamente a pochi chilometri di distanza e che diventavano quasi sempre l’occasione per la gente per vedersi, salutarsi, parlare del più e del meno, in attesa di passare ai saluti ai familiari e porgere le condoglianze. Una sorta di circolo ricreativo, insomma, in cui trascorrere serenamente un pò di tempo in società.
Mentre era immerso in questi pensieri, il funerale giunse al termine e la gente che si trovava fuori cominciò ad agitarsi nervosamente per cercare di trovare posto nella fila che avrebbe condotto gli astanti davanti ai familiari del morto.
La massa di persone si mosse verso l’interno della chiesa dove si era già formata la fila che, passando alle estremità laterali della navata, conduceva davanti all’altare, dove Antonio, tra una spinta e l’altra, intravide alcuni uomini in piedi che davano la mano a coloro che vi sfilavano davanti. A furia di gomiti si fece spazio tra la folla ed entrò nella fila che si snodava per tutta la lunghezza della chiesa e lentamente si avviò verso l’altare. Dalla parte opposta della chiesa, sul suo lato sinistro, si snodava un’altra fila, composta prevalentemente da donne che andavano a salutare le parenti femmine del defunto, sedute nel primo banco di sinistra davanti all’altare. Le donne rimanevano sedute e quelle che le salutavano si abbassavano verso di loro per sussurrare le classiche parole di condoglianze e quasi sempre, dare un bacio.
Gli uomini, invece, dalla parte destra della sala, erano in piedi e salutavano gli intervenuti con strette di mano e solamente ad alcuni, per particolare amicizia o per parentela, davano due baci sulla guancia.
Arrivato finalmente in vista degli uomini da salutare, Antonio vide la moglie del defunto, seduta rigidamente tra la cognata ed una altra donna che, impassibile ed austera, continuava a salutare distrattamente tutte coloro che venivano a renderle omaggio. Portava ancora dei grandi occhiali scuri che le nascondevano gli occhi e si muoveva pochissimo e molto lentamente. Questa volta Antonio non riuscì a pensare a lei come una vedova, ma come una donna o come l’avevano definita prima, come una “femmina”.
Non potè fare ameno di soffermarsi sul suo aspetto esteriore e su quel corpo femminile che in effetti, sembrava sprigionare vitalità e sensualità nonostante il momento di lutto e il vestito nero e castigato.
Alle sue spalle, nonostante cercassero di mantenere il tono di voce più basso possibile, Antonio percepì, anche se debolmente le voci di due uomini che confabulavano tra loro
– io non me la sarei mai maritata una come quella – disse uno
– eh sai com’è, tira più un pelo di femmina…- disse l’altro lasciando in sospeso la frase proprio per dare più effetto alla sua battuta.
Ignorò quegli uomini visto che ormai cominciava a dargli fastidio quell’insieme di insinuazioni, di mezze frasi, di sorrisini, di allusioni che riguardavano una donna il cui marito era morto da pochissimo tempo. Inoltre era ormai arrivato davanti a coloro che doveva salutare e partendo dal primo, strinse velocemente la mano a tutti assumendo un aspetto contrito e rattristato per poi uscire, seguendo quelli prima di lui, da una porta laterale che conduceva nella sagrestia e infine in un’uscita laterale della chiesa.
Una volta fuori, si sentì come liberato di un peso, libero da quella sorta di oppressione che la calca che si era formata, unitamente all’atmosfera tetra tipica di un funerale e all’atteggiamento irriguardoso dei presenti, gli avevano procurato.
Mentre la gente dietro di lui continuava ad uscire, si accese una sigaretta e si avviò con calma verso la piazza dove parecchie persone continuavano a sostare formando dei capannelli più o meno grandi davanti l’ingresso della chiesa. Antonio però si accorse che un gruppo più numeroso di gente era riunito poco distante e si avvicinò per capire come mai tanta gente si era raccolta in quel punto. Non appena fu abbastanza vicino, si accorse che al centro del gruppo c’erano dei personaggi importanti che attiravano le persone come il miele le api. Erano due importanti politici, evidentemente intervenuti al funerale del loro collega, e che adesso stavano intrattenendosi incalzati dalla piccola folla che si era creata intorno a loro. L’onorevole Schillaci da un lato, deputato nazionale e coordinatore regionale del partito di Butera che stringeva mani mentre parlava fitto con qualcuno alla sua sinistra, e l’onorevole Cardella dall’altro, Assessore siciliano alla Sanità molto vicino in termini di amicizia e di corrente politica al defunto Butera che invece chiacchierava amabilmente con il gruppetto che gli stava attorno.
Antonio naturalmente non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di rivolgere qualche domanda a quei due personaggi politici, per inserire una breve intervista nell’articolo. Si avvicinò quindi al nutrito capannello di persone facendosi largo con le braccia, dato che nessuno voleva mollare la posizione conquistata vicino ai due politici, e si rivolse direttamente a Schillaci, al quale si presentò dichiarando le proprie credenziali di giornalista della “Voce”. Il politico accettò volentieri di rispondere ad alcune domande ed Antonio annotò su un taccuino sia le sue dichiarazioni, sia le parole dell’altro politico, l’onorevole Cardella che nel frattempo si era avvicinato facendo intendere al giornalista che anche lui voleva spendere qualche parola in onore del suo amico Butera.
Entrambi i politici dissero le solite ovvietà che vengono espresse in questi casi; decantarono le virtù del collega scomparso, esprimendo il proprio dolore per la mancanza improvvisa dell’amico defunto nonché il proprio rammarico per la perdita di una figura importante nel contesto politico siciliano.
Antonio registrò pazientemente entrambi i personaggi a cui aveva rivolto le stesse domande e da cui aveva ottenuto le medesime risposte. Poche parole di circostanza che non avevano per lui alcun valore tranne quello di essere inserite nell’articolo che avrebbe dovuto scrivere la sera stessa, a contorno della sua analisi sui fatti della giornata e sulla situazione che la morte del Butera stava creando.
Al termine di quella breve intervista fu sollevato di poter lasciare quel gruppo di persone. Tutti quegli uomini infatti premevano per ottenere l’attenzione dei due politici, attenzione che lui aveva distratto da loro e per questo aveva ricevuto diverse occhiate e sguardi di disapprovazione dai presenti.
Pensò quindi di tornare alla stazione e di ritornare a Palermo per scrivere l’articolo ma, mentre si avviava verso l’auto, sentì una voce che lo chiamava
– Antonio…Antonio Mancuso. –
Si girò incuriosito in direzione della persona che lo aveva chiamato e vide un uomo che gli veniva incontro sorridendo e che in un primo momento non riconobbe. Era un distinto signore sulla settantina che si avvicinava sorridendo con passi lenti ma sicuri. Di bassa statura e di corporatura esile, indossava un vestito scuro sul quale risaltava una sgargiante cravatta gialla mentre i pochi capelli rimasti erano concentrati solo sulle tempie ed avevano un colore a metà strada tra il castano scuro e il grigio brizzolato. Antonio lo fisso per qualche istante prima di capire chi fosse, ma subito dopo lo riconobbe e gli andò incontro tendendogli le mani – professore Cinquemani – esclamò mentre gli stringeva la mano con cordialità – quanto tempo. –

Il professor Agostino Cinquemani era stato suo insegnate di italiano ed il rapporto di stima che li legava ai tempi della scuola si era tramutato poi in un rapporto di cordiale amicizia quando, una volta all’università, il professore lo esortò ad intraprendere la carriera giornalistica o quella di scrittore viste le capacità letterarie che gli imputava. E una volta terminati gli studi, lo aveva aiutato ad entrare in un piccolo giornale locale da dove era iniziata la sua carriera giornalistica. Del resto il Professore era un conoscitore di uomini e cose e poteva vantare parecchie amicizie e conoscenze grazie al fatto che per molti anni era stato sindaco del paese.
I due si scambiarono i soliti convenevoli di circostanza al termine dei quali, l’ex sindaco invitò il suo giovane amico a prendere un caffè nel bar vicino. Lo prese a braccetto e si avviarono verso il locale che si trovava in un lato della piazza. Durante il breve tragitto, le persone che li incontravano, salutavano il professore molto cordialmente mentre lui ricambiava con un cenno della mano e a volte con un semplice “ciao”, continuando peraltro a tenere Antonio sottobraccio.
Una volta entrati nel bar il professore salutò con un fragoroso – buongiorno a tutti – a cui immediatamente risposero i pochi clienti presenti che erano seduti davanti all’ingresso intenti ad osservare la gente che si snodava in piazza. Il barista velocemente si avvicinò al bancone e comincio a pulirne la superficie con un panno umido – buongiorno professore – lo salutò ossequioso continuando a strofinare.

Giuseppe Graceffa

Leggi la prima parte del racconto “Questione di corna”

Non perdete la terza, ed ultima, parte del prossimo racconto “Questione di corna” che sarà pubblicata sabato 19 settembre.

Ecco il calendario delle prossime pubblicazioni:

Sabato 19 settembre: terza (ed ultima) parte del racconto “Questione di corna

Non mancate all’appuntamento!!!

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