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Regioni ed Enti Locali

Al Rotary Club Agrigento si parla del processo sulla “Trattativa Stato-mafia”

Di una sentenza si può parlare in modo sociale, non solo tecnico.

A farlo, nel primo caminetto dell’anno sociale 2019-2020 del Rotary Club Agrigento, è stato il dott. Vittorio Teresi oggi Sostituto presso la Procura della Repubblica di Palermo ed ex componente – su invito di Giovanni Falcone – del noto pool antimafia ed attualmente Presidente del Centro studi Paolo e Rita Borsellino di Palermo.

Dopo il saluto del Presidente del club Tommaso Scribani, dei Presidenti dei club di Aragona e Ribera Vittorio Teresi ha raccontato il dietro le quinte del cosiddetto processo sulla “Trattativa Stato-mafia”.

Il processo sulla “Trattativa” è durato cinque anni e si è concluso con condanne a pene comprese tra 8 e 28 anni di carcere. Teresi, procuratore aggiunto, coordinava l’accusa. Processo difficile, delicato, contrastato, ma pur sempre un processo. Molti ne hanno criticato l’impostazione, ritenendola anomala. Svolto in Corte d’Assise, con due giudici togati e sei giudici popolari, il reato contestato non è stato mai veramente ampiamente diffuso dalla grande stampa.

Al centro del processo l’attività di alte sfere militari nazionali, che avevano cercato l’intercessione di influenti e discussi soggetti politici per prendere contatti con il gotha del potere criminale mafioso dell’epoca.

Strumentalmente il processo venne definito sulla “trattativa” per ridurne, anche lessicalmente, l’importanza. Perché “trattare” non può essere comunemente considerato reato. Tuttavia nella sentenza di primo grado emessa si ribadisce che, se è pur vero che “trattare” non è reato, non è certamente neanche lecito farlo con il crimine. Specie se al di fuori dal controllo degli organi giudiziari preposti.

Difatti il reato vero, quello contestato nel processo, fu “ violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario” dello Stato, di cui all’art. 338 del codice penale, perpetrato con il fiancheggiamento dei militari che si erano mossi in autonomia affinché le richieste dei mafiosi – seguite agli attentati e alle stragi a cavallo degli anni dal 1992 al 1994 – venissero almeno in parte accolte.

Non si ebbero dunque occasionali rapporti con pentiti o collaboratori di giustizia, bensì con l’intera associazione mafiosa in carica; al fine di rafforzarla. Lo stesso tema era già salito agli onori della cronaca negli anni ’70, in occasione del sequestro Moro. In quel caso lo Stato non trattò, nonostante si fossero create pesanti spaccature nell’allora compagine governativa.

In sentenza si è chiaramente dipanato il fil rouge che ricollega omicidi eccellenti alla stagione stragista siciliana. Che ebbe il culmine con l’omicidio di Giovanni Falcone a Capaci e di Paolo Borsellino in Via D’Amelio nonché propaggini oltre lo Stretto: Via Fauro a Roma, Via Georgofili a Firenze, Via Palestro a Milano.

Nel ricordare come in sentenza si sia ben delineato il preciso ruolo di alcuni esponenti di spicco della politica nazionale – che hanno visto aperte le porte delle patrie galere solo dopo pesanti condanne in Cassazione, giunte all’esito di altri processi – il dott. Teresi ha tratto spunto per ricordare che l’etica pubblica dovrebbe, sempre, anticipare le pronunce giudiziarie definitive.

Di estremo interesse la cronaca dell’audizione al Quirinale del Presidente della Repubblica in carica all’epoca e la valenza attribuita al cosiddetto “movimento antimafia”; sulla scorta del quale hanno avuto gestazione importanti norme di contrasto al fenomeno criminoso, un ampliamento di competenze del corpo dei magistrati e una generale reazione sociale di repulsa il cui elemento base è quello culturale.

Il proselitismo antimafia, affidato ad iniziative di diffusione della conoscenza quali il caminetto svolto ad Agrigento, ma anche e soprattutto mediante il coinvolgimento del mondo della scuola, pone infatti base del fondamentale contrasto al fenomeno mafia proprio cultura e consapevolezza.

Per una speranza, mai sopita, di risollevare le sorti della nostra terra.

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