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Il Capitano, l’eclissi & Perfetti Sconosciuti

perfetti sconosciuti 1[omissis]
«Io sono, tu sei, egli è.»
Ma, è un’onda contro… La realtà è un’onda contro lo scoglio. La realtà è…
[omissis]
«Io penso di essere, tu pensi che io sia, egli pensa che noi siamo.»
La realtà è uno scoglio o è un’onda?

Domande. La vita è un salto nelle domande. Non sappiamo se ad accoglierci sarà il buio o la luce ma, inconsapevoli o meno, il salto lo facciamo. Che si resti sul ciglio, sulla china, nell’insenatura, nel passo… il salto è avvenuto! Nella maniera esatta in cui lasciamo il ciglio, la china, l’insenatura, il passo. Restar fermi o in movimento è una scelta, e ogni scelta è un salto.
C’è solo da capire, da accettare, da riscrivere i codici di una vita da noi scelta.
Tuttavia, pur avendo i codici li si saprà padroneggiare? Sapremo utilizzarli come un linguaggio per capire (non carpire, la nostra indole) noi stessi e gli altri? Qual è la lingua con la quale ci si deve rivolgere alla propria coscienza?
[omissis]

La lingua che Genovese, Filippo BOLOGNA, Paolo COSTELLA, Paola MAMMINI e Rolando RAVELLO mettono in scena è antica: l’azione e gli intenti celati.
Ogni protagonista può mostrarsi come un quadro; anche iperrealista… per qualcuno. Ma ho avuto l’affascinante sensazione (per la seconda volta in vita mia) che si trattasse «in realtà di un mazzo di fogli non perfettamente impilati, retti da una mano, e animati dall’altra: ogni immagine di personaggio è la somma di tratti che si agitano nell’aria nello scorrersi l’un sopra l’altro: ogni somma è concretizzata dalla nostra visione (abilitata, artefatta, impostata) a tratti illuminata dalla luce del sole, dei lampioni dei fari delle insegne, della luna che attraversa le nostre imposte!»
A tavola ci si sente bene: a volte nell’agiatezza a volte affettati, in entrambi i casi si dice tutto di sé.
Il regista sceglie di evidenziare che quando si invita qualcuno si invitano persone che crediamo di conoscere. Alla sua tavola – un po’ la tavola di noi tutti – ha invitato PERFETTI SCONOSCIUTI. Per dimostralo lascia parlare i “telefonini”, relegando le confessioni umane al momento catartico, apocalittico, dell’evento naturale. Sottolineo quant’è lapalissiano: non è vero che la nostra identità è celata protetta in balia degli apparati tecnologici a cui ci affidiamo per integrarci. Sono le nostre azioni le nostre intenzioni i nostri artifici a dichiararci confessarci spogliarci: il punto è che chi ci è Amico non vuole vederci per quello in altro modo che per le loro azioni le loro intenzioni i loro artifici.
È il credere che i telefoni cellulari, i tablet, i computer siano estensioni del nostro corpo e che quindi siano sotto il nostro controllo assoluto. Non sono neppure delle appendici: sono l’illusione di avere la password per le altre vite (quelle da spiare) e le vite altre (quelle da interpretare). Qualcuno lo sa razionalmente, qualcun altro lo percepisce, altri ancora lo bramano: il mondo che occupiamo non è l’unico occupabile da noi medesimi!
Va da sé che avere a tavola amici di vecchia data non ci fa credere che ci siano informazioni ancora da conoscere: eppure i dati sono frammentati, sempre richiesti dal database del “mazzo di fogli in animazione”… Per questo nessuno dei protagonisti si aspetta scivoloni, terzo grado, quinte colonne quando si avvia il discorso delle autenticità eclissate dalle verità digitalizzate.
Il proporre di mettere in viva voce e a voce alta ogni telefonata e ogni messaggio/e-mail non è sapere cosa l’altra persona veramente fa della propria vita, o della promessa di una vita insieme: si tratta di prendere in mano la vita dell’altro, poterne disporre e magari anche viverla allontanandosi dalle fallaci conseguenze messe in moto.
Eppure, tenendo a mente che ogni Essere Umano è una stella nell’oscurità dell’Universo, il moto è sempre, sempre, sempre condizionato dalla gravità di chi ci è vicino, di chi è… stella!
Entrare nelle vite degli altri, volere le vite che non possiamo, sfogliare o gustare le vite da prospettive ardite è un moto che provoca altri moti: stelle contro stelle, oscurità contro luminosità.
Ogni nostro desiderio è sempre esaudito. Il punto è che non sempre siamo lì a saperlo. Questo perché siamo infiniti punti in infinite ambizioni. Ogni ambito è vissuto da un nostro differente punto (non solo di vista, soprattutto di corpo e mente) e non ci accorgiamo di frontiere oltrepassabili perché viviamo inzuppati nel rimpianto, ammogliati nella recriminazione, ammuffiti nella nostalgia.
Ecco che i PERFETTI SCONOSCIUTI di Genovese alla domanda di spogliarsi non accettano e saranno altri loro a vivere la catarsi, l’apocalisse, l’evento naturale.
E questa è una delle cose che accadono.
Nel film.
L’altra è che Luna, il satellite che tanto si ama, e mai si vede come Spada di Damocle, ha agito sui loro moti, li ha “ingravitati”, li ha ricollocati.
Nel film.
Una volta finita la cena devono essere loro stessi a vedere o due lune o una luna adombrata o un tunnel spaziale o l’ennesima possibilità o annichilirsi nella marea o esser essi stessi marea o…

Ma non lo hanno pensato. Gli amici che si incontrano spesso, che mangiano alla stessa tavola, non lo pensano. La sfida puntata sul tavolo è lanciata come si avesse d’innanzi sconosciuti dalle rivelazioni forse impensate, forse allucinate, forse affascinanti, forse avventurose, ma che resteranno al di là della nostra sfera di azione.
In una sfida di tale levature si è pronti a essere ascoltatori?
Si è pronti a capire quali sono gli inneschi e quali i valori?
Si è pronti a capitolare e riscrivere nuovi capitoli?
Si è pronti a levarsi?
Si è pronti a sfidare sé stessi?
Si è pronti?

La domanda. È il salto in ciò che conta. Si vuole vivere con gli altri o tutta l’esistenza che siamo capaci di abbracciare riguarda l’edonismo?
PERFETTI SCONOSCIUTI fa porre la domanda avulsa dalla materialità del profitto economico e dall’ambizione di uno status sociale: la materialità è la fuga fisica quanto mentale dalle scelte fatte e che non si sanno risolvere, e il suo profitto è l’illusione di essere altrove, si essere evasi – ma il risultato è l’evasione del “soldato” non del “prigioniero”:

«Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
L’ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l’anima dell’uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d’ombra e s’ingarbuglia la matassa…»
Don Chisciotte [Francesco GUCCINI]

La domanda resta inascoltata.
Solo la luna osserva tra i quanti chi si comprenderà, chi si sbranerà, chi si arroccherà, chi saprà guardare negli occhi l’altro, chi pretenderà un equo cambio valuta, chi prenderà coscienza, chi si annichilirà all’ipocrisia chi dell’ipocrisia farà cenere, chi vorrà amare sé stesso e dell’altro fare il successo…
Quale perfetto sconosciuto può esser interconnesso?
La luna lo è.
Difatti, a cena finita cos’è accaduto una volta che l’eclissi è terminata?
La luna riluce. Il velo che poteva permettere qualche spontaneità da prove generali, o da dietro le quinte, è stato vano. I pensieri e le azioni oscure sono oltrepassate. La luce riflessa ci illude che la notte è fatta di liberazioni: le libere azioni che la giornata lavorativa e di impegni familiari tengono in galera – la notte, forse, “la luce” è per gli Uomini! L’unico pensiero è il giorno seguente: ancora domani dobbiamo cominciare, non si continua, si ricomincia. Ogni tentativo di fare qualcosa è il tentativo per incastrare un pezzo di un nuovo puzzle. I PERFETTI SCONOSCIUTI sanno che è sempre lo stesso, ma non sanno che vivere dei “paletti della folla” e dell’Io inespresso.
Saluti e baci, chi s’è visto s’è visto e non per questo Visto.
Alla prossima, amici!

Luna non può non porsi una propria domanda:
«Amici?»

Maurizio Cacciatore

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