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Il crollo della sanità agrigentina: quello che l’ASP fa finta di non sapere

Habemus Papam. Si riparte con un nuovo capitolo. Dopo la nomina del dott. Giuseppe Caramanno quale nuovo direttore dell’Unità Operativa Complessa della Medicina e Chirurgia di Accettazione e Urgenza dell’Ospedale “San Giovanni di Dio” di Agrigento, squilli di trombe e fuochi d’artificio si sono levati in cielo per una sorta di autoproclamazione con l’esclusivo scopo di far dimenticare quello che era – ed è – il pronto soccorso.

Una sorta di confusione quella che regna sovrana nei vertici dell’Asp di Agrigento che, se da un lato ammettono che gran parte delle difficoltà sono legate ad una cronica carenza di medici, dall’altro tentano di addossare la responsabilità di un (inevitabile) fallimento ad una pregressa gestione che, per la verità, ha avuto solo il merito di far emergere criticità e segnalare problematiche con il sol scopo di tutelare la salute pubblica.

Sì perchè se fino a ieri la logica era quella di far finta di nulla o di celare problematiche gravi, la oramai pregressa direzione dell’U.O.C. M.C.A.U. del presidio ospedaliero di Agrigento ha avuto il coraggio di denunciare – senza peli sulla lingua – le carenze di una direzione aziendale che – probabilmente – hanno fatto storcere il naso a qualcuno. Nulla di più di quanto poi rilevato recentemente dalle ispezioni dei Carabinieri del NAS di Palermo. Probabilmente un personaggio scomodo che doveva essere “eliminato” perché non rientrante nella logica di una becera spartizione politica (che farebbe rabbrividire anche i più stimati lettori del cd. manuale Cencelli) che, ahimè regna ancora sovrana nella sanità locale. Insomma, se il dottore Vaccaro (già primario e dimesso per giusta causa) avesse applicato quel “servilismo” di fantozziana memoria, probabilmente sarebbe stato anch’esso osannato e – con molta probabilità – sarebbe rientrato nel “cerchio magico” di qualche “signoretto” di turno. Il tutto, è bene dirlo, barattando il bene della collettività; barattando quei servizi minimi essenziali che oggi sembrano una chimera; barattando quei pazienti – tanti – che giornalmente accedono presso l’area di emergenza del pronto soccorso speranzosi di trovare cure degne di questo nome.

A lui (al dott. Vaccaro), invece sono state relegate responsabilità di gestione manageriale, come se la situazione di criticità fosse cosa nuova. Da anni, decenni oramai, si continua a parlare (e non per cose positive) del pronto soccorso dell’Ospedale di Agrigento; da decenni la stampa e le lettere dei pazienti lamentano la grave crisi dell’intera area di emergenza. L’Asp, invece, gioca a “scaricambarile”, affermando che il già primario non sia stato in grado di affrontare le emergenze.

Insomma, utilizzando una metafora calcistica, sarebbe come imporre ad Allegri (n.b. mister della Juventus) di vincere il campionato di Serie A con una rosa di soli tre giocatori. Nulla importa se Allegri ha a disposizione tre giocatori, perché è questo che la sua società gli ha imposto. Una società (sempre metaforicamente parlando) che deve dimostrare di essere in Serie A, ma con una rosa di soli tre giocatori. E se Allegri perderà ogni partita, non sarà (ovviamente) colpa della Società e del suo presidente, ma sarà colpa del suo tecnico, incapace di vincere.

Testimonianza ne è ciò che è successo con un altro stimato professionista, il dott. Spallino. Lui non ha potuto che prendere cognizione della situazione e “salutare” tutti dopo 24 ore dalla sua nomina (rectius imposizione) a “reggente”.

Al dottore Vaccaro oggi non può che essere dato un merito: quello di avere portato alla luce (e lo ha fatto anche con una scelta radicale, dimettendosi da un prestigioso incarico) una situazione non più tollerabile. Il merito di avere sollevato quelle criticità che nonostante le varie denunce sono rimaste lettera morta. Una direzione che – se avesse avuto la stessa dignità del dott. Vaccaro – non avrebbe potuto prendere una decisione diversa se non quella di andare a casa. Ma così ovviamente non è stato e, sicuramente, non sarà. Il motivo? Presto detto. I vertici aziendali, è bene ricordarlo, altro non sono che espressione di una logica politica, quella stessa politica che avrebbe dovuto avere il coraggio di accompagnare – senza troppi complimenti – alla porta direttori, commissari e compagnia bella, cacciandoli a pedate per avere reso la sanità agrigentina lo “zimbello” d’Italia. Ed invece di assumersi le responsabilità di una gestione assolutamente fallimentare e incapace di rendere un servizio quanto meno dignitoso, i vertici dell’Asp lanciano perfino accuse ai Sindaci agrigentini. Direte: siamo su “Scherzi a parte”? No, è lo stesso commissario straordinario Mario Zappia che lamenta la presa di posizione dei sindaci agrigentini (che ricordiamo essere massime autorità sanitarie), rei di sollevare un vero e proprio grido d’allarme per portare al centro dell’attenzione le precarie condizioni della sanità agrigentina. Invece di mettersi a fianco di quest’ultimi e cercare di rimboccarsi le maniche, cosa fa il commissario Zappia? Relega il tutto a una “iniziativa demagogica, e un atto di scorrettezza istituzionale non consentita“. A Zappia sarebbe più opportuno ricordare che il grido d’allarme dei Sindaci è un monito grave verso una incapacità gestionale che ha relegato ancor più la sanità agrigentina a livelli medio-bassi.

Ed è solo dopo questo clamore, condito anche da una annunciata e presumibile fuga di medici dal pronto soccorso di Agrigento che ora Zappia si sveglia e chiede aiuto perfino al Prefetto. Una condizione che mette ancor più in evidenza ciò che avrebbe potuto fare fin dalle denunce dell’oramai ex primario e che, invece, non ha fatto. Se tutto questo consentirà di avere servizi dignitosi, non può che essere merito del dott. Vaccaro, ennesima vittima di un sistema incompetente.

Un consiglio a Zappia: vai via e saluta questa provincia. Agrigento merita una sanità diversa.

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