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Inchiesta antimafia “Montagna”: storie di droga e dissidi interni

Si è svolta ieri al Tribunale di Agrigento l’udienza nell’ambito del processo che si sta svolgendo con il rito ordinario scaturito dalla maxi operazione antimafia denominata “Montagna” che ha sgominato i presunti vertici di Cosa Nostra dell’agrigentino.

Il filone processuale vede alla sbarra sei persone, a fronte delle oltre 50 che hanno invece optato per il giudizio con il rito abbreviato. In aula sono state ascoltate le dichiarazioni del luogotenente del reparto operativo dei Carabinieri, Giovanni Preite, che ha deposto davanti al collegio presieduto dal giudice Alfonso Malato, con a latere i giudici Alessandro Quattrocchi e Giuseppa Zampino.

In particolare, si è cercato di ricostruire il traffico di stupefacenti gestito dalla presunta organizzazione. Un’udienza dedicata al traffico e allo smercio della droga e che vedrebbe elemento di spicco il favarese Giuseppe Quaranta. L’indagine riguarderebbe il periodo compreso tra il 2013 ed il 2016.

Da quanto emerso nel corso dell’ultima udienza vi sarebbero stati dissidi fra i componenti del presunto clan con alcuni pusher che chiedevano “autonomia” poiché in grado di non coprire alcuni debiti maturati. Sarebbe stato Quaranta ad avere addirittura pensato – secondo l’accusa – ad una dimostrazione plateale che sarebbe potuta sfociare in un omicidio. Secondo quanto raccontato dal luogotenente “Quaranta pensava di ucciderlo davanti agli altri pusher per dare un esempio. In realtà ci fu un incontro chiarificatore nel quale il capomafia gli fece una ramanzina e gli disse che se non saldava il debito, avrebbe inceppato l’intero meccanismo”.

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