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Revoca della custodia cautelare ad Arnone. Le motivazioni del Riesame

giuseppe arnoneIl Tribunale del Riesame di Palermo ha reso noto le motivazioni sulla revoca della custodia cautelare dell’avvocato agrigentino Giuseppe Arnone (in foto) in quanto “la misura cautelare non poteva essere applicata dal primo giudice e questo tribunale – che è giudice della cautela – deve annullare il titolo di detenzione”.

Come si ricorderà, l’ordine di custodia cautelare, firmata dal gip Francesco Provenzano, era stata revocata dai giudici del Tribunale del Riesame, che aveva fatto tornare in libertà Giuseppe Arnone, difeso dagli avvocati Arnaldo Faro e Daniela Principato, accusato dell’ipotesi di reato di estorsione. L’arresto era avvenuto lo scorso 12 novembre parte degli agenti della Squadra Mobile di Agrigento.

Il gip – recita il tribunale del Riesame – accoglieva “la richiesta cautelare per una sola tranche della condotta contestata, giacché 14 mila euro venivano considerati dallo stesso giudice richiesti in virtù di una condotta, penalmente qualificata come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e ciò in quanto correlata ad un processo in corso, dunque, afferente ad una pretesa giuridicamente strutturata”. “Ad avviso di questo tribunale – scrivono ancora i giudici – gli elementi non consentono di ritenere il quadro indiziario neanche del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni”.

“Approfondire ulteriormente l’esame per escludere o meno il reato di ragion fattasi, – si legge ancora – che per certi profili oggettivi potrebbe trasparire negli scritti dell’Arnone, non avendo rilievo cautelare, non è compito di questo tribunale. Né ha rilievo in questa sede spendere giudizi sulla attendibilità da riconoscere alla odierna presunta parte offesa, la cui condotta è stata oggetto di imputazione per estorsione da parte della stessa Procura della Repubblica di Agrigento”. “È errata la valutazione in diritto operata dal primo giudice – si legge nelle motivazioni – in ordine alla condotta così come riscotruita dagli atti di polizia giudiziaria, laddove ha ritenuto che solo la tranche per la quale vi era e vi è una pretesa giuridica azionata poteva considerarsi esercizio arbitrario delle proprie ragioni, mentre per la parte non in concreto tutelata (ma tutelabile) in sede processuale doveva considerarsi integrato il delitto di estorsione”.

Per il Riesame, infine, “permane nel collegio il dubbio circa la sussistenza dell’elemento psicologico del ricorrente relativa alla coscienza e volontà di porre in essere una condotta minacciosa, per le modalità di esecuzione di essa”.

 

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